News Stefano
Individuato il primo pianeta nomade
A 100 anni luce da noi, non sembra orbitare intorno ad alcuna stella. Confermerebbe la teoria di miliardi di pianeti nomadi in giro per la galassia.
Stiamo forse leggendo le prime pagine di un nuovo capitolo dell’entusiasmante storia della ricerca di pianeti extrasolari. Un gruppo di astronomi francesi e canadesi, attraverso il Canada-France-Hawaii Telescope, sarebbero riusciti a individuare il primo pianeta nomade o “orfano”, un tipo di pianeta cioè che non risulterebbe orbitare intorno ad alcuna stella, diversamente da quanto fino a oggi comunemente creduto in ambito astrofisico. Si tratterebbe di un gigante gassoso con una massa dalle quattro alle sette volte maggiore di Giove, quindi verosimilmente una nana bruna (una “stella” mancata, cioè, in cui non si è innescato il processo di fusione nucleare per accenderla), ed è distante circa 100 anni luce dalla Terra. Attraverso i potenti strumenti del Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, gli astronomi hanno perfezionato le osservazioni e si sono spinti ad annunciare l’importante scoperta appena pubblicata sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
Il telescopio delle Hawaii, gestito congiuntamente da Canada e Francia, che ha permesso la scoperta.
Scacciato da casa - Etichettato “CFBDSIR2149”, fa parte di una ‘corrente’ di stelle molto giovani nota come Associazione AB Doradus, la più vicina di questo tipo al nostro sistema solare. Le stelle di questo gruppo si sono formate più o meno nello stesso periodo e vagano insieme nello spazio, in un movimento di gruppo definito appunto ‘corrente’. Il pianeta nomade potrebbe essersi formato all’interno di questo gruppo finché le spinte gravitazionali delle altre stelle non l’avrebbero scacciato dal proprio sistema solare di origine. Una teoria alternativa vedrebbe invece CFBDSIR2149 come una delle tante altre stelle della corrente, ma priva dell’innesco della fusione nucleare, quindi una nana bruna, un enorme gigante gassoso. In tutti i casi, la conferma della scoperta irrobustirebbe le teorie per cui la nostra galassia pullulerebbe di simili pianeti nomadi, scacciati dai loro rispettivi sistemi di origine da “calci” gravitazionali e vaganti negli spazi interstellari. Questo tipo di corpi celesti sarebbe molto comune, forse numeroso quanto le stelle nella nostra galassia.
La chiave della “massa mancante”? - Ciò aprirebbe importanti scenari non solo nella logica della comprensione dei meccanismi di formazione ed evoluzione dei sistemi stellari, ma anche nell’ambito della comprensione della materia oscura. Una percentuale forse significativa di quella “massa mancante” che compone la nostra galassia e le altre potrebbe essere costituita da simili mondi nomadi, che non brillano di luce propria e quindi risultano appunto oscuri alle osservazioni telescopiche e spettroscopiche, ma che pur tuttavia sono dotati di massa, sufficiente a produrre un effetto osservabile a livello di forza gravitazionale. In realtà, per poter dar conto di tutta la materia oscura calcolata dai fisici, questi pianeti nomadi dovrebbero essere davvero parecchi, addirittura qualche migliaia per ogni stella della nostra galassia. Alcuni modelli proposti dagli astrofisici permettono l’esistenza di un numero tanto alto di mondi vaganti per gli spazi interstellari, la maggior parte dei quali potrebbe essersi formata addirittura prima delle prime galassie, nei primi milioni di anni successivi al Big Bang. Ma la comunità scientifica resta cauta su queste proposte.
Rappresentazione artistica di un pianeta nomade in vista di un sistema stellare doppio.
L’abitabilità dei pianeti nomadi - La scoperta di simili pianeti, tuttavia, pur estremamente difficile in quanto i pianeti extrasolari danno prova della loro esistenza soprattutto grazie alle stelle intorno a cui orbitano (provocando oscillazioni gravitazionali nelle orbite o riduzione della luminosità nel transito davanti alla stella), sarebbe comunque importante anche per le teorie sulla possibile abitabilità di questi mondi. Secondo alcuni studi, un pianeta lontano da qualsiasi stella potrebbe comunque essere abitabile se una forte radioattività interna ne consentisse il riscaldamento al punto da permettere la presenza di acqua liquida in superficie. Lune e satelliti naturali di tipo roccioso orbitanti intorno a nane brune o giganti gassosi di tipo gioviano vaganti nell’universo potrebbero analogamente possedere, perlomeno sotto la superficie, oceani di acqua liquida prodotti dalla forza mareale, come forse avviene su Europa, la luna di Giove. E lì potrebbero ugualmente presentarsi le condizioni per la formazione di composti biologici elementari.
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