Dal terribile terremoto di Tohoku del marzo 2011, gli scienziati sono rimasti ad osservare con ansia se dal “grande vulcano”, noto come Monte Fuji, trapelassero i segni di un’imminente attività. Nel settembre dello scorso anno, si ritenne che dal Monte Fuji fuoriuscisse una getto di pressione salito a 1,6 megapascal. Una stima preoccupante poiché superiore a quella dell’ultima eruzione. Questo vulcano è molto simile al Vesuvio, che è di tipo esplosivo attivo (in stato di quiescenza dal 1944), situato in Campania, nel territorio dell’omonimo parco nazionale istituito nel 1995. La sua altezza, al 2010, è di 1.281 m, sorge all’interno di una caldera di 4 km di diametro. Quest’ultima rappresenta ciò che è rimasto dell’ex edificio vulcanico (Monte Somma) dopo la grande eruzione del 79 d.C., che determinò il crollo del fianco sud-orientale in corrispondenza del quale si è successivamente formato il cratere attuale. È attualmente l’unico vulcano attivo di tutta l’Europa continentale. Ad oggi sono 800mila le persone che vivono nelle due aree più pericolose e che dovrebbero essere evacuate preventivamente: per loro è previsto il trasferimento in altre regioni italiane, secondo una divisione già predisposta nel piano del 2001.
Foto sopra: il Monte Vesuvio in Campania (Italia)
Ritornando al Monte Fuji, uno dei vulcani pericolosi più studiati al mondo, sulle sue pendici abitano circa 700.000 persone e le conseguenze dell’eruzione sarebbero estremamente devastanti. Secondo il professore Masaki Kimura, dell’università di Ryukyu, questo ed altri recenti fenomeni indicano la possibilità che il vulcano possa eruttare. L’eruzione avrebbe dovuto aver luogo nel 2011? In questo caso, il margine di errore è di circa quattro anni. Il 2015, quindi?
Come ci racconta Federica Vitale nel suo articolo pubblicato su nextme.it, il Giappone si estende sul bordo di una “zona di subduzione”, ossia quello strato della crosta terrestre spinta al di sotto di un’altra. Tale spinta è un processo continuo e si traduce in una parte della crosta terrestre letteralmente proiettata verso il basso, nel magma caldo del mantello terrestre. Tuttavia, poiché questa crosta è saturata dall’acqua, si mescola con il magma, provocando un materiale più leggero in grado di risalire attraverso lo strato superiore della crosta. Questo magma in risalita diventa, dunque, una camera magmatica. Quando la pressione diventa più forte della roccia che lo contiene, questa si scatena in una eruzione vulcanica.
Il Monte Fuji si formò in questo modo. E la subduzione seguente ai grandi terremoti potrebbe essere in grado di provocare un aumento di pressione nella camera di magma. Il professor Kimura ritiene che, durante il terremoto di Tohoku, si sia registrato un aumento complessivo delle attività sismica intorno alla montagna, in particolare sul suo lato nord-est. “Il magma proveniente dal Monte Fuji è in aumento. Le crepe nella crosta sono cresciute. Alcuni detriti piovono dal cielo. Nessuno ci pensa, ma ritengo ci sia una possibilità”.
Il professore menziona anche altri segni evidenti di una possibile eruzione. Ad esempio, il livello crescente di acqua del lago Sai, le numerose esplosioni di vapore e i frequenti terremoti vulcanici. Il crollo parziale del tunnel della superstrada di Sasago, nel mese di dicembre dello scorso anno, provocò la morte di nove persone. Non fu causato da un terremoto, ma probabilmente fu innescato dalla deformazione del tunnel che Kimura crede sia collegata ad attività proprie del Monte Fuji.
Nel 2012, è stata scoperta una faglia di notevoli dimensioni, circa 21 miglia, localizzata proprio sotto il vulcano. Gli esperti ipotizzano che, nella eventualità di un’esplosione, il costo in termini di vite umane sarebbe basso, a causa del lento movimento della lava. Tuttavia i danni agli edifici sarebbero enormi.
Effetti di una possibile eruzione del Vesuvio?
Come riportato dai quotidiani locali e nazionali, si fa sempre più critica la situazione di allarme che la Protezione Civile che sta interessando le zone intorno al Vesuvio. Riportiamo un articolo pubblicato su mteogiornale.it che riguarda un allargamento della zona definita “rossa”. Il comitato operativo della Protezione Civile si è riunito facendo il punto sul vulcano e sull’area dei Campi Flegrei. Il piano ridisegna l’area a rischio, che si allarga fin su 3 quartieri di Napoli. I lavori verranno costantemente modificati in base agli aggiornamenti della comunità scientifica.
ZONA ROSSA VESUVIO IN ESPANSIONE
Oltre ai comuni dell’area vesuviana anche tre quartieri di Napoli, in caso d’eruzione, sarebbero colpiti da ceneri e lapilli. E’ quanto emerso dalle decisioni prese alla riunione della Protezione Civile che ha aggiornato il piano nazionale di emergenza per il Vesuvio. La ridefinizione dell’area a rischio prevede che, in caso di emergenza, sarebbero circa 800mila i cittadini da evacuare preventivamente, un numero decisamente più alto di quanto previsto nei piani precedenti. Il nuovo piano ha accresciuto il numero di comuni nei quali gli effetti di un’eruzione sarebbero devastanti, da ritenersi quindi nella zona rossa. Dai 18 del piano precedente si passa dunque a 24, ai quali vanno aggiunti tre popolosi quartieri di Napoli est: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli. La zona rossa è stata suddivisa in 2 aree: la prima “ad elevato rischio vulcanico” (invasione di flussi piroclastici ad elevata temperatura) e la seconda “ad elevato rischio crolli” per effetto dell’accumulo di ceneri e lapilli.
PIANO EVACUAZIONE PER 800 MILA PERSONE
Ammontano ad 800mila le persone che dovrebbero essere evacuate preventivamente, in caso d’improvvisa eruzione: per loro è previsto il trasferimento in altre regioni italiane, secondo una divisione già predisposta nel piano precedente del 2001. Nella migliore delle ipotesi, comunque, sarebbero non di non meno di 600mila persone che in caso di allarme dovrebbero essere evacuate in meno di tre giorni. Un compito tutt’altro che semplice, viste anche le condizioni della viabilità della zona, nonostante i 54 milioni investiti dalla Regione per migliorare la situazione in tal senso. Il piano ad oggi prevede un’eventuale evacuazione solo su gomma, ma date le difficili problematiche la Protezione Civile non esclude che, in caso di emergenza, si possa provvedere anche attraverso altri mezzi. Sarebbe in ogni caso un evento di dimensioni importanti e di difficile gestione, nella quale sarebbe impossibile la pianificazione di tutti gli imprevisti che potrebbero sorgere.
I Campi Flegrei preoccupano gli scienziati
In una delle riunioni del Comitato si è parlato anche dell’area dei Campi Flegrei che in questo momento preoccupa gli scienziati, ben più del Vesuvio, a causa delle ultime vicende. L’allerta è infatti passata dal livello base a quello di attenzione, in quanto negli ultimi mesi si è registrata nella zona un’accelerazione dei movimenti attorno ai 3 centimetri al mese: un dato che, seppur di gran lunga inferiore a quello che era stato registrato durante il bradisismo degli anni ottanta (14 cm al mese), è stato definito significativo e da non sottovalutare. I nuovi studi, inoltre, hanno consentito di stabilire che, in caso di eventuale eruzione vulcanica, le ricaduta di cenere interesserebbe anche parte della città di Napoli. Di qui la necessità di aggiornare i piani d’intervento e d’emergenza, che gli enti locali, secondo le indicazioni del Dipartimento, dovranno presentare entro giugno. Qualora fosse necessaria un’evacuazione dell’area, sarebbero ad oggi circa 400mila le persone interessate.
Redazione Segnidalcielo
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