Credit: ESA
Apriamo gli occhi: la Terra non è il baricentro geometrico dell’immenso Universo e alla stessa stregua non è il baricentro della vita. L’esistenza dell’uomo non la fa diversa dagli altri possibili mondi abitabili. E’ come se vivendo in Europa, pensassimo che al di là dell’oceano inesplorato non può esserci vita intelligente pari alla nostra. Invece ci accorgiamo che sul pianeta Terra la vita è dovunque….e direi tutta intelligente, sempre in bilico tra sopravvivenza e coesistenza, a domandarsi come. Vita intelligente, tutta dotata di gradi libertà e scelta; capace di adattarsi, in un processo evolutivo che dai primordi è giunta fino a noi. La nostra superiorità di specie trova origine nella nostra migliore capacità organizzativa, ma se ci pensate ciò è solo un fatto contingente e occasionale: non esiste uno più e uno meno, ma una serie di esistenze in una scala variabile nel tempo e nello spazio. Alla base, che si stia in fondo ad un oceano o in cima a una montagna, sulla terra o in un qualunque altro posto dell’Universo, ci sono in comune le regole biologiche dell’esistenza: una coessenza a vari livelli di individualismo e coesistenza, amore ed odio, istinto e ragione; e nella ragione s’aprono l’enorme inspiegato e le domande del tutto, dentro cui affondano i nostri sentimenti e lo sguardo all’infinito. Resistenze culturali di vario genere, soprattutto religioso, impediscono ancora oggi un approccio logico a questa problematica. Si preferisce ragionare per assunti, ipotizzando che l’universo è homo-centrico, e si mette il carro davanti ai buoi, anziché riflettere e ragionare sulle evidenze, da cui far discendere le conseguenti valutazioni filosofiche ed esistenziali. E così si smonta qualsiasi dato scientifico che porta ad una “teoria” anziché ad un “teorema”, anche se esiste una loro evidente e plurima convergenza; e così ad esempio si critica la teoria dell’evoluzione e quant’altro non visibile, non misurabile, non ripetibile. Seguendo tale concetto dovremmo dire che sono vere solo le scienze esatte e sperimentali, mentre le scienze naturali, basate sulla osservazione e che sono alla base di tante conquiste del pensiero, sono tutte fallaci….. finchè non si osserva un neutrino che va più veloce della luce e ci si domanda se mai esistono due oggetti eguali e ripetibili, o se tutto è vero nella cornice temporale che ci siamo creati, e sempre a meno di qualcosa; quel qualcosa dove si annidano i nostri pensieri e i nostri dilemmi. E così è più facile dire “a grandi affermazioni..grandi prove”, mentre dovrebbe essere il contrario perché la grande (ed assurda) affermazione è supporre che siamo soli e al centro dell’Universo. Ma quali sono le evidenze? Quali i dati raccolti e le più recenti osservazioni sulla esistenza di vita extraterrestre? E’ da più di settanta anni che si parla delle molecole organiche ritrovate su alcune meteoriti e si è discusso molto se era di natura biologica o chimica; poi, con la scoperta del DNA, ci si è posti il problema se il contenuto genico era frutto di contaminazione terrestre. Nuovi dati e osservazioni si sono susseguiti nel tempo, insieme a vivaci discussioni scientifiche sui pro e sui contro. Un lungo percorso che si snoda attraverso alcuni momenti fondamentali che è opportuno richiamare:
la missione Viking della NASA, nel 1976 (1);due navicelle-laboratorio che si posarono sul suolo di Marteper condurre tre esperimenti -simili per entrambi i laboratori e ripetuti nel tempo- e i cui risultati, alla luce delle più recenti scoperte, sono da considerare tutti positivi e provanti la presenza di microbi sul suolo marziano. I tre esperimenti, noti come “emissione pirolitica” “rilascio marcato” e “scambio di gas” (contrassegnati rispettivamente con 3, 2, 1 in figura 1), miravano a valutare la presenza di colonie batteriche sulla base della loro interazione con sostanze nutrienti addizionate con carbonio radioattivo.Nella “emissione pirolitica” un campione veniva esposto alla presenza di molecole di anidride carbonica contrassegnata isotopicamente. I batteri -se presenti- dopo un tempo ragionevole e in presenza di luce, avrebbero respiratol’anidride carbonica assimilandola in composti chimico-biologici più complessi. Dopo il suolo veniva bruciatoper vedere quanta anidride carbonica radioattiva fosse stata assimilata. Nell’esperimento del “rilascio marcato “il suolo veniva fornitodi una miscela di sostanze nutritive contenenti carbonio radioattivo; se gli organismi viventi avessero “mangiato” parte del cibo contenente tale tracciante, avrebbero poi espulso l’’anidride carbonica, determinando un aumento della radioattività dell’aria. Nella prova dello “scambio gassoso”, il suolo veniva inumidito e quindi si monitorava l’eventuale formazione di composti chimici secondari, prodotti dalle attività biologiche. I risultati furono subito positivi, il terreno reagiva e la quantità di traccianti aumentava nel tempo. I ricercatori del Viking sterilizzarono allora dei campioni a 180° per tre ore e ripeterono i tre esperimenti; nessun campione sterilizzato, e in nessuno dei tre esperimenti, sia nel laboratorio del Viking 1 che nel Viking 2, rivelò quindi traccia di attività. Sebbene gli esperimenti biologici abbiano indicato che il suolo marziano è in grado di mangiare e respirare alcuni nutrienti, tuttavia, mediante un altro esperimento, non è stata evidenziata la presenza di quelle macromolecole organiche a cui dovevano associarsi tale azioni. La spiegazione biologica è in contrasto con l’assenza di molecole organiche mentre la spiegazione chimica non riesce a spiegare l’imitazione dell’attività organica. Alla fine non si sapeva che interpretazione dare, in quanto non c’erano risposte coerenti né con una ipotesi né con l’altra. Una recente rielaborazione da parte del responsabile della missione J. Levin mostra che il rilascio di carbonio radioattivo era ciclico, con un periodo esattamente eguale al giorno marziano (24,66 ore); ipotizzando in tal modo che esso era conseguenza della nota attività giornaliera (circadiana) delle colonie microbiche (2). Più recentemente la scoperta di perclorato nel suolo marziano, che come varie molecole di clorati, che sono esattamente i prodotti che ci si dovrebbe aspettare se il perclorato reagisse con le macromolecole. Tanto da indurre diversi autori (3) a rilevanti considerazioni di merito (vedasiBarry E. DiGregorio, The UntoldTruth – How The NASA Viking MissionFound life on Mars, DVD,Barry E. DiGregorio Productions, 2010http://www.amazon.com/Untold-Truth-Viking-Mission-Found/dp/B004GOBVWW), ma con riflessi relativamente modesti sui mass-media (4).
La scoperta di nanobatteri in alcune meteoriti marziane, fatta dalla NASA, con la clamorosa dichiarazione del suo direttore, David MacKay, nel 1999 (5). Dichiarazione supportata da approfondite indagini e da numerosi elementi concordanti, ma aspramente contestata da diversi studiosi. Scoperta confermata nel tempo daulteriori studi ed analoghi ritrovamenti da parte del suo gruppo di ricerca, che ha sistematicamente indagato altre meteoriti marziane ritrovate Antartide (figura 2); tra cui va citato il recente ed interessante lavoro di Thomas-Keprtaet al, con le relative dichiarazioni sulla stampa (6a)..XX). Il tutto preceduto dalla scoperta di nanobatteri negli ambienti terrestri più disparati, da parte di Folk nel 1993 (6), grazie all’impiego dei microscopi elettronici SEM; batteri estremamente piccoli, con celle di dimensioni variabili da 50 a 200 milionesimi di millimetro (nanomicron) e la cui attività dà luogo a biomineralizzazione (7); unitamente alla teoria del 1991 di Hoyle, F&Wickramasinghe, N.C., nota come Panspermia, basata su osservazioni sperimentali dell’assorbimento dell’onda cosmica nel vuoto, e secondo cui tutte le zone fredde dell’Universo sono interessate da nanomicrobi (8).
Gli studi di Rizzo e Cantasano studisulle microstrutture e tessiture dei sedimenti marziani (9-13), riprese dalmicroscopio dei rovers NASA (semoventi che dal 2005 si trovano sul suolo marziano; figure 3 e 4); microstrutture che sonoincredibilmente simili a quelle delle Stromatoliti terrestri (le prime rocce di origine organo-sedimentaria che si sono formate sulla Terra, circa 3,5 miliardi di anni addietro, a seguito dell’attività di cianobatteri) .
1) I risultati di Hoover nel 2011 (14) sulla presenza indigena (non da inquinamento) di cianobatteri in alcune particolari meteoriti (le cosiddette condriti carboniose, ricche in acqua ed idrocarburi) di diversa provenienza;ritrovamenti posti all’attenzione di tutto il mondo scientifico, con l’invito – ampiamente disatteso – alla verifica e al confronto.
I risultati recenti di MichaelCallahan, (un ricercatore della NASA’sGoddard Space Flight Center, Greenbelt, USA) che, analizzando 12 campioni di meteoriti, di cui tre provenienti dall’Antartide e riconducibili a Marte, ha mostrato come il DNA in essi contenuto ha una composizione tale (per la presenza di componenti estremamente rari sulla terra, quali purina, adenina e guaina) da doversi considerare alieno e non frutto di inquinamento terrestre (15). Dati a cui si aggiungono le recenti e dettagliate osservazioni di Marte che hanno accertato la presenza di tantissimo ghiaccio e acqua nel sottosuolo marziano; la presenza di formaldeide e metano nell’atmosfera marziana e tanti altri ritrovamenti, che sembrerebberoin qualche modo, anche per la loro dislocazione spazio-temporale- essere collegati alla presenza di acqua e ai cicli stagionali e quindi- presumibilmente – alla vita sul suolo marziano (3).
I nostri studi sulle morfologie di Marte e sulle immagini (microscopicImagery “MI” ) riprese dal microscopio (MI) dei rovers.
Figura 5- Laminazione sottile di ambienti fluviali e marini terrestri. In alto: depositi varvati; In basso a destra Diatomite; In basso a sinistra depositi varvati (gessi).
Dal 2004 sono due piccoli robot semoventi, dotati di macchine fotografiche e di vari strumenti, stanno girando su Marte e raccogliendo immagini ravvicinate del suolo. Una di queste macchine è costituita da un camera fotografica (Atena), montata su un braccio meccanico corredato da disco di abrasione per la pulizia delle superfici della roccia, e che riprende, comandata da terra, immagini in b/n del terreno a forte ingrandimento (inquadra un campo di 32 millimetri) e ad alta risoluzione (40 millesimi di millimetro o “micron”). Le migliaia di immagini sino ad oggi riprese sono contrassegnate con il giorno marziano (sol) a partire dalla data di atterraggio e si possono consultare e scaricare dal sito internet http://marsrovers.jpl.nasa.gov/gallery. Su di esse si apprezzano molto bene i corpi e le strutture superiori ad 1/10 di mm, ma si possono anche apprezzare a discreti ingrandimenti (200-300%) anche oggetti più piccoli, per quanto un po’ sfocati, fino a dimensioni di 50-60micron. Le informazioni che si ottengono riguardano la microstruttura dei sedimenti e possono aiutare a comprendere la genesi di questi ultimi. Parimenti, nello stesso sito web sono presenti numerose immagini riprese da altre macchine fotografiche e su campi visuali diversi, che mostrano l’area circostante ai rovers e, soprattutto, con la possibilità di poter osservare anche le strutture/tessiture degli affioramenti a diversa scala (figura 4).
Figura 6- Come la temperatura e la pressione condizionano i passaggi tra le diverse fasi dell’acqua. Alla pressione atmosferica esistente su Marte è teoricamente impossibile che si possa formare acqua; però la salinità e il tempo necessario ad evaporare ne spiegano la temporanea presenza in superficie.
Le immagini, corredate – a tratti-da indagini sui componenti chimici delle rocce (i rovers sono dotati di due spettrometri di massa), mostrano un territorio pianeggiante, costituito da dune scure che a tratti si squarciano mostrando un substrato di rocce chiare e fittamente laminate (con lamine submillimetriche; figura 5). Due depositi, quello delle dune e quello che forma il substrato, che denotano due momenti geologici e deposizionali nettamente diversi: le dune come conseguenza di un ambiente arido, quello attuale, di ambiente subaereo e poco dinamico, che si è arricchito dei componenti scuri del substrato (i componenti ferrosi e magnesiaci, che essendo più resistenti all’alterazione si accumulano nel tempo); le rocce biancastre fittamente laminate, costituite essenzialmente da solfati, dove le sottili lamine rappresentano la conseguenza di un ambiente idrodinamico estremamente “tranquillo”e che si sono deposti in un ambiente marino saturo e asfittico. Sulla Terra sedimenti fittamente laminati si formano all’interno di laghi, e le strutture si chiamano Varve; oppure si formano in ambienti marini asfittici e salini, di bacini chiusi e tranquilli , come le Diatomiti, note anche con il nome di Tripoli; l’alternanza di questi sottilissimi strati è dovuta alle variazioni stagionali (figura 5. Altra possibile genesi, come descritto più avanti, è quella collegata all’attività periodica di colonie batteriche biomineralizzanti). Insomma due momenti di una stessa fine: uno immerso in acqua e l’altro subaereo; entrambi testimonianti la tranquilla morte (priva di moti e di tempeste), rapida e progressiva, del pianeta Marte. Acqua, che a dispetto delle leggi fisiche che non la vorrebbero possibile in superficie a causa della bassissima pressione atmosferica (la figura 6 mostra come a quella pressione si passi ghiaccio passi direttamente a vapore), in realtà si può a tratti apprezzareper brevi tratti e affiorante da emissioni sorgentizie lungo precisi contatti idrogeologici (figura 7).
Emissioni sorgentizie su Marte (la linea azzurra rappresenta la un contatto idrogeologico tra materiali più permeabili (sopra) e materiali meno permeabili (sotto). Il piano di contatto è inclinato verso il canyon a sinistra e quindi sul versante di quest’ultimo si generano una serie di sorgenti, con incisioni e depositi in basso (immagine presa da Google Earth).
E’ stato recentemente rilevato dalle sonde spaziali orbitanti attorno a Marte che il sottosuolo è saturo di acqua o ghiaccio, per diversi chilometri. Cosa che era già evidentedalle tracce morfologiche in superficie, per la presenza talora di materiale fluitato attorno ai crateri di impatto (figura 8), per la diffusa evidenza di processi di filtrazione profonda (figura 9), così come sono diffuse le frane per liquefazione di base (figura 10) e i collassi in cavità (figura 11; cavità generatesia perdissoluzione di sali che per migrazione di particelle, a causa dell’acqua circolante). Un pianeta, dunque, che per aver perso la sua pressione atmosferica, si è progressivamente raffreddato ed asciugato in superficie, ma che sotto contiene ancora falde acquifere e i resti dei suoi mari originari (figura 12). Si tratterà forse di un grosso impatto con un asteroide che ha modificato la sua orbita attorno al sole? Che ha dato luogo alla differenza tra emisfero Sud e Nord? che ha fatto schizzar via un pezzo della sua litosfera posizionandola in orbita (i suoi satelliti)? che ha distrutto il nucleo e la sua gravità, tale da far sfuggire l’atmosfera? Sono solo ipotesi e congetture. Certo è che il pianeta Marte ha subito un recente e grosso trauma idrogeologico che ha interessato buona parte della sua superficie; evidenze morfologiche indicano che grandi quantità di acqua sono fluitate all’improvviso (due possibili ipotesi: per scioglimento di ghiacci a seguito di uno stress termico; o per grandissime masse d’acqua rapidamente evaporate e poi precipitate, così come avviene dopo una eruzione vulcanica). Si vede infatti che gran parte della superficie del pianeta è coperta da colate di fango, straripate da canali o fluitate su ampie superfici e –soprattutto- fuori da incisioni preesistenti (figura 13).
Figura 8- Fenomeni di filtrazione in profondità di acque superficiali. La linea tratteggiata indica una struttura lineare sepolta (una frattura?)quale fattore predisponente (immagine Google Earth).
Anzitutto le lamine e le sferule, ovunque diffuse nei sedimenti del substrato(figura 15), lungo tutto il tragitto del roverOpportrunity. Le lamine sono sempre sub-millimetriche e non mostrano grandi variazioni di spessore(figura 16); una uniformità delle sequenze che è indice di un ambiente di sedimentazione stabile e poco perturbato (oppure di una attività biologica che è generalmente molto regolare e legata alla illuminazione giornaliera, o circadiana). Tuttavia in alcuni casi la struttura laminare è più marcata che altrove e, a guardarle a forte ingrandimento, talora si nota che la sequenza è costituita da una alternanza di un libello granulare scuro (LB) e di uno scheletrico chiaro (LA), laddove si osserva un bordo segmentato/merlato, derivante da una struttura di basesubcircolare(figura17). A tratti poi, mostrano curvature e ondulazioni a carico anche di una sola lamina (disarmoniche), talora associate a convergenze e sovrapposizioni, che sono in contrasto con i principi di una sedimentazione inorganica; proprio perché a carco di una sola lamina e che non possono essere ascritte rispettivamente a convoluzioni o a forme di stratificazione incrociata o a che invece interessano pacchi di lamine (figura 18).Le sferule sono contenute all’interno dei sedimenti quasi sempre in modo caotico (figure 15 e 19). Le stesse hanno dimensione di qualche millimetro (in genere non più di 5mm;esse hanno colpito subito l’attenzione dei ricercatori, e sia per la loro forma che per il loro colore sono state chiamate mirtilli o “blueberry”).
Figura 9- Splash di fluidi fuoriusciti da un cratere di impatto di grandi dimensioni(freccia gialla in alto). La presenza di altri crateri di impatto più piccoli e senza splash fluidi di rilievo indica chiaramente che la falda intercettata dall’impatto più grande è alquanto profonda. Le frecce bianche in basso mostrano processi di filtrazione analoghi a quelli mostrati in figura 8 (Immagine Google Earth).
E’ stato visto che esse sono composte da ematite, e per tale ragione è stato detto che devono essersi quindi formate in presenza di acqua. Le blueberries, poiché più resistenti alle intemperie dei solubili solfati di cui sono composte la lamine che le contengono, coprono estesamente anche la superficie del suolo marziano, dove rappresentano il prodotto residuale prevalente dei processi di alterazione (figura 19); ma non solo. A tratti la struttura a sferule sembra il motivo dominante, di cui sono costituite anche le lamine: sferule, forse non di ematite ma del materiale stesso delle lamine (a guardare le sagome e il colore; figure 20 e 21). Quindi tutte sferule e lamine; rispettivamente ematite e solfati. Normali rocce evaporitiche ricche in ferro. Sembrerebbe tutto normale, ma non è così, perché sulla terra si trovano i gessi ma non con così tante e curiose sferule di ferro. Inoltre, a guardare attentamente e a forte ingrandimento, si può osservare che in realtà tutti gli ammassi di questi affioramenti laminati, le blueberries e le stesse lamine sono costituite da altre sferule molto più piccole (microsferulecon dimensioni di 1-2/10 di mm) e disposte in strutture “a fiore”, con una sferetta centrale a diversa tonalità (struttura SB dellefigure 17, 22-23) e che può essere organizzata in fasci (figura 22) o in piani (figura 23), a costituire le lamine delle successioni in affioramento; o ancora sistemi spaziali (SSB), di cui sembrerebbero essere costituite anche le sferule (figura 24). Nelle lamine la struttura “a fiore” è piana a costituire una rete di esiguo spessore; i bordi delle lamine sono segmentati per la presenzadi sequenze di microsferule, che costituiscono i margini delle predette strutture (figure17 e 23 ). In questo quadro elemento di un certo interesse appare anche la presenza di film traslucidi, anch’essi costituiti da una rete di microsferuleinterconnesse (figure 23, 25-27), e che sembrano a tratti mineralizzare in sostanza biancastra “per punti” o per “superfici parziali” (figura 28).
Figura 11- Numerosi esempi di collassi in cavità, simili a quelli mostrati nelle figure 7-9e, ma allineati lungo strutture lineari a costituire a canali “a salsicciotto” (da piping a canyon). Questi canali hanno un aspetto diverso da quelli di drenaggio e sono diffusissimi, a testimoniare la presenza di un substrato saturo e collassabile (immagine Google Earth).
Tutte sferule, quindi, con dimensioni estremamente variabili, dalle minime apprezzabili – al limite della risoluzione- prosegue sino a quelle più grandi e alle stesse blueberry;in un sistema di matriosche che, mostrando a tratti un chiaro assetto polisferico e/o policentrico, da luogo ad aggregazioni successive e via via più complesse. Sferule e polisferule che a una struttura complessa associano una morfologia complessa. Si osservano così sferule dalla cui superficie emergono altre sferule poste su centri di sviluppo diversi, oppure corpipolisfericiche a volte possono spiralati e gradualmente crescenti (figura29), dando luogo a strutture più complesse. In altri casi è stato osservatoche le microsferule sono aggregate in filamenti, lineari o curvilinei (serpentiformi), a geometrie crescenti e talora spiralate,oppure aggregate in modo informe (figure 30 -33). Le strutture filamentose possono essere isolate o in molti casi assumere un aspetto intrecciato a costituire il “motivo tessiturale” dell’affioramento, di cui si apprezzano le caratteristiche sebbene a forte ingrandimento e al limite della risoluzione. Queste ultime strutture sono molto interessanti e, come vedremo,hanno stringenti paralleli con lestromatoliti terrestri. Tutte queste aggregazioni non sono ripetitive e sono sicuramente di natura “mineralica” (non sono strutture di vita autonoma). Tuttavia,in taluni casi sono veramente curiose e appaiono incongruenti con unodei principi fondamentali della sedimentologia, secondo cui la crescita dei sedimenti avviene sempre a partire dalla superficie esterna (principio di Lyell). Ci si riferisce, in particolare,alle già citate strutture a “filamenti intrecciati” ; ma ancheai fenomeni di “crescita interna” e alle deformazioni espansive delle sferule e/o delle strutture immediatamente vicine che sembrerebbero osservarsi/dedursi in qualche caso (figure34 e 35). Fenomeni, questi, che per essere relegati al mondo inorganico, dovrebbero essere diagenetici, ovvero relegati a processi successivialla formazione dei corpi sedimentari;ad esempio a seguito di trasformazioni chimico-mineralogiche associate a variazioni di volume (displasive); inoltre, per giustificare l’espulsione (oltretutto eccentrica ed eccessiva) di una microsferulada una sferula più grande, quella che si vede nellafigura 34,occorre ipotizzare che la composizione delle sferule possa essere diversa nel passaggio tra la parte interna e quella esterna. Analogamente occorre pensare che a strutture simili si debbano associare composizioni chimiche differenti; tali da giustificare ad esempioi fenomeni di crescitaosservati nelle strutture a fiore che circondano la sferula al centro di figura 34).
Figura 12- In basso: Enormi spessori di ghiaccio individuati dai radar che stanno orbitando attorno a Marte. In alto: come apparirebbe Marte se si sciogliesse tutto il ghiaccio esistente, secondo alcuni studiosi della NASA.
Così come colpisce il contrasto tra le immagini a destra di figura 35 (dove le più resistenti blueberries costituite da ematite sono ovviamente in risalto rispetto ai gessi) in confronto a quelle a sinistra della stessa figura dove le sferule sono coperte si raccordano con il materiale che li contiene in modo convesso anziché concavo (si tratta di materiale neoformazionale o si tratta di materiale deformato dall’aumento di volume delle sferule stesse?). Anomalie, tutte queste, che possono anche trovare altre spiegazioni (es: attività batterica associata a formazione di gas difermentazione o ad un aumento del volume biomineralizzato). A partire da questa ipotesi, e per spiegare le diverse conformazioni delle blueberries, sono state delineate due possibili e talora concomitanti modalità di crescita delle blueberry: per avvolgimento (a spirale o concentrico) di piani di microsferule (le strutture a fiore, indicate con SB nelle figure 22 e 23) o per crescita di strutture policentriche (indicate con SSB in figura 24). Tutte Ipotesi che in realtà sono da considerare come una forzatura alquanto spinta, volta a giustificare fenomeni altrimenti difficilmente spiegabili, e soprattutto sostenuta dall’idea di una possibile attività biogenica. Quel che sicuramente ci appare più interessante, a parte le ipotesi, è che tutte queste strutture costituite da aggregazioni di microsferule, di cui si apprezza l’esistenza fino ai limiti della risoluzione, (i filamenti, le lamine, le polisferule e le blueberries, i films, etc..)trovano indubbi paralleli nell’ambito delle formazioni geologiche formatesi sulla Terra sin dai primordi a seguito dell’attivitàbatterica, e note con il nome diStromatoliti. Numerosi sono i batteri biomineralizzanti, ma ciò che va rilevato è che la precipitazione dell’ematite (sesquiossido di ferro, Fe2O3) è favorita dai processi di ossidazione in ambiente riducente (es: ricco di solfuri), così come è stato osservato e spiegato per la formazione delle sferule ematitiche sulla terra (note anche come moqui e sfere degli sciamani)….e i cianobatteri sono un particolare tipo di batteri che grazie alla fotosintesi trasformano l’anidride carbonica in ossigeno, favorendo in tal modo la precipitazione del ferro in forma di ematite sulla loro superficie; mentre in ambiente ossidante possono portare alla formazione di carbonato di calcio.
Figura 13- Evidenze di un grande disastro idrogeologico che ha interessato buona parte del pianeta Marte (Immagini Google Earth).
E’ interessante notare come talora tali batteri, costituiti da moltissime tipologie, danno luogo a microsferule di qualche micron (millesimo di mm), che si aggregano fra di loro a formare filamenti, e i quali a loro volta si dispongono nuovamente in assetti concentrici a costituire sferule più grandi biomineralizzate, osservabili ad occhio nudo e note come ooliti o oncoliti(figura 36). Insomma, anche qui un sistema di matriosche che è stato riprodotto in laboratorio e perfettamente documentato da Brehmen (14). Le analogie morfologiche tra taluni batteri, i loro prodotti più grandi e le sferule ematitiche sia terrestri che marziane è notevole (figura 37) e l’ipotesi che possano essersi formate allo stesso modo è stata ipotizzata da diversi ricercatori. E’ interessante notare come anche che i più antichi depositi di ferro della terra, che si sono formati in un ambiente molto diverso dall’attuale e simile a quello marziano, noti come “BandedIronFormation” (BIF), altro non sono che stromatoliti; dove quel “banded” sta per lamine submillimetriche, ovvero lamine prodotte dai cianobatteri.Il sistema laminato stromatolitico, che vada a costituire piccoli corpi sferoidali (ooliti o oncoliti) o lamine di una vasta sequenza sedimentaria in affioramento, nasce dalla diversa attività fotosintetica dei batteri in rapporto alle variazioni giornaliere della luce (attività circadiana; figura 38); più c’è luce e più si sviluppano, cambiando il rapporto tra prodotti batterici (filamenti di microsferule, biogenici) e depositi fisico-ambientali (granelli o precipitati, abiogenici).
Ma come si presentano macroscopicamente (in affioramento) le stromatoliti? In funzione delle condizioni ambientali, le stromatoliti possono assumere un aspetto tabulare, oppure colonnare, a struttura concentrica, o anche assumere le forme più svariate, sferoidali, a disco, etc..(figura 39)…forse ancora per matriosche di ordine superiore!! Inoltre in un bacino regressivo, dove l’acqua del mare evapora riducendo la distanza tra formazioni stromatolitiche e superficie del mare, si può apprezzare una variazione verticale delle strutture sedimentarie, che in basso sono più detritiche assomigliando a un normale sedimento mentre in alto assumono un aspetto più mm-laminato, tipico delle stromatoliti, per il maggior apporto di prodotti biogenici. Una simile struttura regressiva sembra osservarsi anche su Marte, così come si osservano (in verità in un solo caso) strutture colonnari, o la tipica superficie a sagome trapezoidali a bordo smussato verso il basso (da non confondere con i poligoni di essiccamento che hanno bordi rialzati verso l’alto (figura 40). Alcuni depositi stromatolitici, se si osservano dall’alto, mostrano un sistema a cerchi addossati, di cui sembrerebbero esservi paralleli anche in alcune immagini dell’area di Meridiani Planum (dove sta girando il roveropportunity; figure 41-42), oppure a strati convoluti e caotici (figura 43). Anche a livello macroscopico di affioramento le tessiture di alcune stromatoliti terrestri ricordano quelle dei sedimenti marziani ripresi dalle camere PANCAM (figura 44 e 45). E quali altre somiglianze con le strutture microscopiche dei depositi marziani (dai 40-60 micron fino a qualche centimetro (nelle immagini MI dei rovers)? Come è stato già detto le stromatoliti, in tutte le immagini, sia microscopiche che a occhio nudo ma a forte ingrandimento, si presentano sempre con lamine e filamenti di microsferule aggregate o con semplici corpi sferoidali, a volte in ammassi informi (figura 46). A livello microscopico, sia su Marte che sulla Terrasi osservano evidenti paralleli (figure 47-54), dove è possibile notare sia la presenza di filamenti di microsferule (figure 48), sia microsferule aggregate in strutture policentriche “a fiore” (figura 49). Particolarmente interessanti sono le strutture a filamenti intrecciati di microsferule, in quanto in contrasto con i principi della sedimentazione abiogenica, osservabili sia nelle immagini microscopiche che in quelle macroscopiche a forte ingrandimento (figure 50-53); in questo ambito, particolarmente interessante ci pare anche il confronto tra le immagini di stromatoliti riprese dai rovers a terra, prima del lancio, con alcune tessiture dei sedimenti marziani (figura 53)!!! Così come interessanti appaiono alcuni paralleli morfologici e strutturali di altre forme, tra cui alcune colonie batteriche incapsulate (figura 54). E per concludere, vorrei far rilevare che molte forme rinvenute sulle immagini MI dei rovers, richiamano alla mente strutture più complesse e proprie di oggetti che, se fossimo sulla Terra, li definiremmo senza dubbio alcuno di natura biogenica. Come definire altrimenti le curiose strutture ad anelli del frammento in alto a destra della figura 55? E la struttura simmetrica a fianco di uno cilindro cavo (stelo?) al centro a destra della stessa figura?E ancora come definire quelle curiose forme arrotolate a fusillo e di cui si apprezzano altri particolari nella figura 56? E soprattutto come spiegare quel curioso tubicino che fuoriesce dal terreno (anche se unico e raro) dotato di un collaretto piccolo e pronunciato (figure 55 e 57), così somiglianti alle forme tubolari (fossili?) che si delineano in più esemplari sulla superficie di uno strato (figura 55, al centro in basso)?Per non parlare poi di quella strana forma a guscio, una sottile lamina di circa 3 cm di diametro e il cui interno è riempito di sedimenti ma alla cui sommità che fuoriesce dal terreno si individuano dei curiosi ispessimenti (figura 58)? O di tutte quelle curiose (e invero poche) forme che richiamano in mente strutture biogeniche, per la presenza di collaretti o di vacuoli, ivi inclusi alcuni corpi trasparenti (cilindroal centro a sinistra) di cui si hanno esempi nelle figure 59 e 60? O ancora quella sezione cilindrica a struttura forata, osservabile nella figura 59 (la seconda immagine a sinistra in basso) che richiama lo stelo di un’alga? E che dire delle strane concrezioni a trombe di cornamusa presenti nella figura 59 (a destra in alto) che ricondano alcune forme fossili del Precambriano terrestre?
A voi le conclusioni, perché gli occhi – soprattutto quelli della mente – sono di tutti e tutti possono vedere, tranne gli scettici per natura, quelli che come San Tommaso vogliono prima toccare con mano, attraverso quei sofisticati strumenti che caratterizzano la scienza prettamente tecnologica anziché appartenere al dominio dell’intuito e della mente.
VIKING 2001: C’E’ VITA SU MARTE - Clamorosa scoperta annunciata lo scorso 24 luglio a San Diego, in California, in occasione del 26° Congresso annuale della Società americana di Ingegneria e strumentazione ottica(SPIE ossia Society of Photo-Optical Instrumentation Enginees). L’autore, Joseph D. Miller, un neuro-biologo dell’ UCS (Università della California del Sud), ha infatti portato serie prove secondi cui in uno degli esperimenti biologici effettuati dal Viking su Marte 25 anni fa (il cosiddetto esperimento di ‘rilascio di anidride carbonica marcata’, più succintamente definito LR=Labeled Release) ci sarebbero chiare tracce di attività microbica. Questo in base a conoscenze biologiche che ai tempi dei Viking non esistevano neppure e che lo stesso Miller ha contribuito ad approfondire nei passati 25 anni: più particolarmente lo scienziato dell’UCS è un biologo specializzato nello studio dei cosiddetti ritmi circadiani, vale a dire in tutta quella serie di risposte biochimiche e comportamentali con cui gli organismi terrestri inferiori e superiori sembrano reagire al succedersi periodico del giorno e della notte. J.Miller è andato a riguardarsi alcuni grafici relativi alle misure LR che i due Viking hanno condotto durante i loro 5 anni di permanenza su Marte rimanendo immediatamente colpito da un dettaglio cui nessuno, 25 anni fa, aveva dato importanza. Per capire di che si tratta dobbiamo però fare una descrizione seppur sommaria del citato esperimento di rilascio di anidride carbonica marcata. L’ idea alla base è il fatto ben noto che tutti i micro-organismi terrestri metabolizzano le sostanze organiche liberando CO2. Venne così progettata una cella ermetica entro cui il braccio meccanico del Viking doveva deporre circa 1 grammo di suolo marziano. A questo punto veniva aggiunta una soluzione nutritiva acquosa contenente 7 composti organici a base di carbonio marcato con C14 radioattivo.
L’ assimilazione di questi composti organici da parte di eventuali microorganismi marziani avrebbe dovuto provocare emissione di anidride carbonica (CO2) il cui Carbonio (provenendo da sostanze a base di 14C) avrebbe dovuto essere a sua volta radioattivo (quindi 14CO2) e quindi facilmente analizzabile da un apposito rivelatore di radioattività collocato nella parte superiore della cella. Proprio questo, effettivamente successe su Marte, con l’aggiunta che l’emissione di 14CO2 si azzerava se il campione di suolo veniva prima sterilizzato a 160°C! A frenare di vita su Marte venne il risultato di un altro esperimento denominato GCMS: il suo compito era di ricercare direttamente molecole organiche nel suolo marziano ma il suo risultato fu assolutamente NEGATIVO. Chiaro che senza la presenza di composti organici non si poteva parlare di vita su Marte. Da qui tutta una lunga serie di esperimenti di laboratorio che sembrarono dimostrare come la liberazione di14CO2 nell’esperimento LR fosse in realtà un processo puramente chimico legato all ‘ esistenza nel suolo marziano di materiali altamente ossidanti (‘superossidi’) in grado di decomporre i composti organici delle soluzioni nutritive e quindi di simulare una risposta biologica. Adesso invece, con i nuovi studi di J.Miller, le cose sono state clamorosamente rimesse in discussione. Quello che tanto ha colpito Miller è il fatto che l’emissione di 14CO2 non era continua, ma mostrava un andamento regolarmente oscillante, con incrementi nelle ore diurne e diminuzioni nelle ore notturne. Per un esperto, come lui, di ritmi circadiani la cosa andava immediatamente approfondita alla eventuale ricerca di un qualche tipo di periodicità. Con un risultato assolutamente imprevisto: quello secondo cui la 14CO2 veniva emessa con fluttuazioni periodiche di 24,66 ore, perfettamente coincidenti con il giorno marziano!
-
- Figura 18. Dislocazione irregolare delle lamine, con ondulazioni disarmoniche, sovrapposizioni e convergenze. In basso a sinistra una stratificazione incrociata, che –come si può notare- nulla ha a che vedere con i fenomeni osservati, perché questi ultimi interessano singole lamine.
-
- Figura 22. Dislocazione a fasci, che possono assumere vari assetti, delle strutture SB (vedasi riquadro ingrandito).
-
- Figura 25. Immagine di dettaglio di un film traslucido, con relativo ingrandimento (al centro) dove si nota la sua struttura a microsferule interconnesse.
-
- Figure 26 e 27. Altre immagini di film traslucidi dove si apprezza la struttura a microsferule scure, che sono attorniate dal film trasparente che le interconnette. Nella figura 27, in alto a sinistra, si nota come il film sia sviluppato soprattutto nelle cavità (cerchi).
-
- Figure 26 e 27. Altre immagini di film traslucidi dove si apprezza la struttura a microsferule scure, che sono attorniate dal film trasparente che le interconnette. Nella figura 27, in alto a sinistra, si nota come il film sia sviluppato soprattutto nelle cavità (cerchi).
-
- Figura 28. Patine biancastre di mineralizzazione per punti o per superfici parziali (biomineralizzazione?).
-
- Figura 29. Sferule variamente conformate in polisferule. Le diverse tipologie possono essere sempre ricondotte ad una crescita per avvolgimento di gusci successivi (lamine di SB) o per crescita di microsferule compenetrate SSB. La coesistenza dei due processi di crescita da luogo alle curiose forme a globuli spiralati, talora a dimensioni regolarmente crescenti (in basso a sinistra).
-
- Figure30, 31, 32 e 33.Microsferule aggregate in filamenti di varie tipologie (e/o in ammassi); particolarmente interessanti le forme serpentiformi e/o intrecciate (ben evidenti in figura 33).
-
- Figure30, 31, 32 e 33.Microsferule aggregate in filamenti di varie tipologie (e/o in ammassi); particolarmente interessanti le forme serpentiformi e/o intrecciate (ben evidenti in figura 33).
-
- Figure30, 31, 32 e 33.Microsferule aggregate in filamenti di varie tipologie (e/o in ammassi); particolarmente interessanti le forme serpentiformi e/o intrecciate (ben evidenti in figura 33).
-
- Figure30, 31, 32 e 33.Microsferule aggregate in filamenti di varie tipologie (e/o in ammassi); particolarmente interessanti le forme serpentiformi e/o intrecciate (ben evidenti in figura 33).
-
- Figure 41,42 e 43. Visione dall’alto e confronti tra affioramenti diversi (nel riquadrostromatoliti australiane) in rapporto ad alcune immagini dell’area di Meridiani Planum (da Earth Google).
-
- Figure 44 e 45. Tessiture delle rocce stromatolitiche a scala macroscopica ravvicinata
-
- Figura 46-54- Paralleli tra stromatoliti terrestri e sedimenti marziani a livello microscopico
-
- Figura 53 – Stromatoliti: confronti Terra Marte
-
- I dati grezzi del Viking acquisiti nel 1976.
-
- Figura 5 – I ritmi circadiani nei dati del Viking, rielaborati da Miller nel 2001.
http://www.meteoweb.eu/2011/12/non-siamo-soli-nelluniverso-e-su-marte-ci-sono-tracce-di-vita-2/100821/