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Satelliti contro Ricerca?
GLI OSSERVATORI TERRESTRI COLMANO IL GAP CON HUBBLE GRAZIE ALL’OTTICA ADATTIVA, MA CONTRO GLI ASTRONOMI AVANZA UN NUOVO POTENZIALE NEMICO: L’U.S. AIR FORCE
Di Mattia Paolinelli
Il dopo Hubble doveva prevedere la messa in orbita del radiotelescopio WEBB, ma per il momento i tagli subiti dalla N.A.S.A. hanno rallentato il progetto e fatto slittare di molto la data prevista per la messa in orbita. Eppure la ricerca continua, a terra. Come?
Certo, inviare telescopi come Hubble nello spazio -al di là della tenda atmosferica- ha i suoi vantaggi, ma sul netto dei risultati per la ricerca astronomica pesa una consistente tara fatta di costi e riparazioni problematiche. Proprio per questi motivi la vita di meravigliosi strumenti come Hubble è ancora più limitata della strumentazione terrestre che per i suoi osservatori di punta può garantire una longevità maggiore. Ma la domanda è: i risultati possono essere gli stessi?
La risposta in questi ultimi anni è fortunatamente quasi del tutto affermativa. Scienziati e ingegneri si sono scervellati per cercare di raggiungere con strumentazioni terrestri prestazioni paragonabili a quelle ottenute da Hubble e grazie a ingegnosi e per certi versi fantascientifici accorgimenti ci sono riusciti.
Ma innanzitutto ricordiamo perché nel 1990 è stato necessario inviare un telescopio in orbita attorno alla Terra. L’atmosfera permette la vita sul nostro pianeta in molti modi e uno di questi è quello di bloccare diversi tipi di radiazioni provenienti dallo spazio. L’atmosfera agisce insomma come un setaccio che permette solo alla luce visibile, all’infrarosso e alle onde radio di raggiungere la Terra. Ma nel raggiungere la superficie terrestre anche la luce ha i suoi problemi, testimoniati dal fenomeno della turbolenza atmosferica che riduce la capacità di un telescopio terrestre di distinguere due oggetti celesti vicini.
E’ proprio questo il principale motivo della superiorità prestazionale dei telescopi orbitali rispetto a quelli terrestri, eppure avevamo parlato prima di accorgimenti ideati e messi in atto in questi ultimi anni per ovviare al "gap" e addirittura per offrire dei vantaggi non solo a livello di costi, ma anche di risultati.
Nel raggiungimento di questo obiettivo il primo nemico era rappresentato proprio dalla turbolenza atmosferica. Come superare questo limite? Non è stato semplice, ma alla fine si è raggiunta una soluzione: creando una stella.
LA BASE U.S.A.F. DI VANDEMBERG
Le immagini delle stelle che arrivano fino a noi sono deformate dalla turbolenza atmosferica che in certi casi rende invisibili alcuni astri (specie quelli particolarmente vicini l'uno all'altro) da terra. Ma se avessimo un riferimento che ci mostrasse gli effetti della turbolenza atmosferica in un determinato punto allora sarebbe possibile applicare un contro-filtro (o una contro-turbolenza) all’immagine, in modo da vedere l’astro come appare senza le deformazioni dovute al passaggio della luce nell’atmosfera.
Questo riferimento è rappresentato da una stella artificiale -intesa come sorgente di luce- accesa stimolando con un fascio laser (puntato in direzione dell’oggetto che si vuole osservare) uno strato di sodio atmosferico situato tra i 90 e i 100 chilometri d’altitudine. Confrontando l’aspetto della luce al di sopra dell’atmosfera con l’aspetto che aveva in partenza possiamo determinare l’entità della turbolenza e quindi delle deformazioni da questa operate sulla luce.
In seguito si interviene tanto sull’immagine della sorgente di luce “creata” che su quella della sorgente di luce rappresentata dalla vera stella. Ricostruendo l’aspetto della prima (attraverso modificazioni elettriche indotte centinaia di volte al secondo su uno specchietto metallico) si ricostruiscono le vere sembianze anche della seconda e il gioco è fatto.
IL GEMINI NORTH OBSERVATORY
E’ così che si supera il gap sofferto dalla strumentazione terrestre rispetto a quella orbitale. Ma i vantaggi prestazionali? Si possono riassumere in un’unica parola: Interferometria.
Non sarà il termine più semplice di questo mondo, ma le prospettive che apre questa tecnica sono sicuramente affascinanti. Infatti in pochi sanno che la capacità di un telescopio di osservare oggetti sempre più piccoli (perché sempre più lontani) non dipende dalla sua area, ma dal suo diametro. Cosa significa? All’atto pratico che la risoluzione di un telescopio non viene affetta da evntuali buchi sullo specchio: ciò che cambia è la sua capacità di raccogliere luce.
Se utilizzassimo quindi più specchi (anche non contigui) come se fossero le parti di uno solo più grande, la risoluzione non risentirebbe delle parti mancanti, anzi. Maggiore è il diametro realizzato da questi specchi posizionati ad un certo intervallo l’uno dall’altro, maggiore sarà la risoluzione dello “specchio totale”.
Un esempio in tal senso è rappresentato dai quattro telescopi europei che possono essere utilizzati insieme per fare interferometria e che compongono il VLT (Very Large Telescope).
Tutte queste acquisizioni e realizzazioni non possono che essere entusiasmanti ma all’orizzonte, proprio ora che nuove prospettive parevano spalancarsi per la ricerca astronomica terrestre, ecco che compare qualcosa d’inaspettato, minaccioso e paradossale.
Lo sviluppo tecnologico incontra sé stesso in un’altra veste. Se fossimo nell’antica Grecia, potremmo immaginare Hubble come un dio invidioso dei progressi dei telescopi terrestri che chiama in aiuto i suoi fratelli per vendicarsi. Ma anche se l’Evo antico è ormai storia e l’epos è fuori moda, il risultato è lo stesso. Il futuro dei telescopi terrestri è infatti sempre più minacciato dal numero crescente di satelliti in orbita attorno al nostro pianeta. Perché?
Il procedimento prima descritto che permette ai telescopi terrestri di ovviare agli effetti della turbolenza atmosferica prende il nome di “ottica adattiva” e come abbiamo visto prevede l’utilizzo di un fascio laser.
Ebbene, a quanto pare questi laser potrebbero essere capaci di danneggiare irrimediabilmente i satelliti in orbita, specie nelle loro apparecchiature ottiche rivolte a terra e dedicate all’osservazione e al monitoraggio del nostro pianeta.
Da diversi anni ogni volta che un raggio laser (non solo per motivi di ricerca astronomica) viene puntato almeno verso la linea dell’orizzonte è necessario richiedere e ricevere il permesso preventivo da parte di un ente apposito che fa capo all’U.S. Air Force: l’LCH (Laser Clearing House) situato presso la Vanderberg Air Force Base in California.che nell’ambito del programma SPIRAL-3, traccia l’orbita dei satelliti e in base alle richieste ricevute calcola in quali momenti l’utilizzo del laser deve essere interrotto.
Tempo fa questa richiesta costituiva una semplice operazione di routine, ma almeno dal 2009 la situazione è cambiata e le maglie dell’LCH sono diventate molto più strette e limitanti per la Ricerca.
Ad oggi i periodi di black out imposti dall’LCH agli astronomi sono di pochi secondi o di qualche minuto, ma la situazione sta rapidamente cambiando e la frequenza di queste interruzioni forzate sta aumentando con conseguenze tangibili per alcuni programmi di studio.
A tal proposito, così si esprime Julian Christou, tecnico del Gemini North Observatory delle Hawaii:
“At one time, four or five years ago, we were getting very few restrictions, but more recently that has increased. The impact is we are losing time to do long integrations…It’s an accumulated time loss.”
Quello lanciato dagli astronomi è insomma un segnale, ma forse è anche qualcosa di più: un allarme da non sottovalutare, specie pensando che il “traffico orbitale” è in costante aumento e che le premesse disegnate dall’U.S. Air Force prefigurano la minaccia di un’imposizione unilaterale laddove la soluzione può risultare solo da scelte programmatiche concertate e condivise.
Chi vuole può rendersi conto di come funziona l’LCH anche dando un’occhiata a un documento declassificato in pdf, consultabile su internet e risalente al 2005, il Laser Clearing House Reports Handbook (che potete trovare qui) e di cui potete vedere alcune pagine sparse per l’articolo.
fonte: http://nautilusmagazine.blogspot.it/2011/04/satelliti-contro-ricerca.html
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