Satelliti fuori controllo: quando il prossimo?
di Daniela Cipolloni
Terminata la folle corsa di Uars, resta il problema della spazzatura intorno alla Terra. Quanti sono i rifiuti orbitanti? Come fare pulizia? E ancora: se fanno danni, chi paga?
Schianto scampato, stavolta. I rottami del satellite Uars, che per giorni hanno minacciato di caderci in testa, giacciono ormai in fondo all'Oceano Pacifico, anche se la Nasa non sa esattamente dove e a che ora siano precipitati , e probabilmente mai lo saprà. Ma il pericolo dei detriti spaziali non finisce con la fine della saga di Uars. C'è una quantità impressionante di spazzatura, lassù, che tiene in apprensione i tecnici delle agenzie spaziali.
Secondo il censimento dello United States Space Surveillance Network, intorno alla Terra ruotano almeno 22mila oggetti di dimensioni superiori a 10 centimetri. Mine vaganti, che viaggiano a una velocità di circa 28mila chilometri orari (quella necessaria per restare nell'orbita terrestre, ovvero 40 volte superiore alla velocità di crociera di un aereo). Sono costantemente monitorati da appositi sistemi radar, perché risulterebbero letali nell'impatto con qualunque attrezzatura spaziale. Ai pezzi grossi si aggiunge una marea di rifiuti più piccoli: centinaia di migliaia di frammenti superiori al centimetro, capacissimi di danneggiare una navicella o la Stazione spaziale internazionale, e almeno 300 milioni di pezzetti di pochi millimetri, in grado comunque di mandare in tilt le strumentazioni.
In quest'enorme discarica artificiale a cielo aperto, è il caso di dirlo, galleggia materiale di ogni tipo: satelliti ancora attivi (appena il 5 per cento), satelliti esausti, razzi abbandonati, rottami disintegratisi in mille pezzi, schegge, polveri, bulloni, borse degli attrezzi, persino guanti persi da astronauti. La situazione tende a peggiorare, perché ogni scontro tra i frammenti moltiplica ulteriormente la quantità di detriti, in una reazione a catena che rischia ben presto di precludere la viabilità nella fascia bassa, tra i 200 e i 2mila chilometri di altezza, la più affollata di rottami. A reiterare l'allarme, un recente rapporto del National Research Council americano: l'immondizia in orbita, dicono gli esperti, ha ormai raggiunto “ un punto di non ritorno” e rischia di distruggere costosissimi satelliti e navicelle spaziali. Per correre ai ripari si sta sperimentando di tutto: gigantesche reti da pesca, proposte dall'Agenzia spaziale giapponese Jaxa, arpioni, reti magnetiche o ombrelli raccogli-detriti, studiate dalla Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa), per spingere i rifiuti verso l'atmosfera e farli bruciare oppure verso orbite più alte e più sicure. E ancora raggi laser e spazzini nucleari. Praticamente tutte le agenzie, compreso l' ente spaziale italiano ed europeo sono impegnate nella ricerca di soluzioni per risolvere il problema, o perlomeno mitigare i rischi.
Intanto, ogni giorno piove qualche pezzo dal cielo di tutta questa ferraglia. Nella stragrande maggioranza dei casi, i detriti si polverizzano completamente nell'impatto con l'atmosfera, vera e propria tomba dello space debris.
I rientri di oggetti grandi come Uars - pericolosi perché non si disintegrano del tutto -capitano una volta all'anno, ma il Center for Orbital and Reentry Debris Studies calcola che circa 100-200 oggetti moderatamente grandi sfreccino sopra le nostre teste ogni anno. Fino ad oggi è andata bene: non hanno mai fatto male a nessuno. Solo una donna, unica nella storia, è stata sfiorata da un frammento spaziale nel 1997, un pezzo del booster del Delta II, mentre stava passeggiando in un parco a Tulsa, nell'Oklahoma (non s'è fatta niente, ha raccontato , solo un picchiettio sulla spalla). D'altronde, la probabilità che un frammento spaziale colpisca qualcuno è una su 3.200. Vale per l'intera popolazione mondiale. Il rischio di ciascun individuo è inferiore a uno su un trilione. Praticamente prossimo allo zero (molto, molto più alta la probabilità di essere colpiti da un fulmine, che è una su un milione). Nei rientri controllati, in cui il veicolo ha ancora abbastanza propellente, il satellite viene posizionato su una traiettoria prestabilita, in modo che precipiti in mare (o in una zona disabitata). Nei rientri fuori controllo, dovuti al naturale decadimento della rotta orbitale, com'è stato nel caso di Uars, è più difficile, se non impossibile, fare previsioni sulla pioggia di frammenti.
Spesso va di fortuna, considerato che la superficie terrestre è ricoperta per il 70 per cento di acqua e la densità abitativa non è omogenea. Ma ci sono state diverse occasioni in cui la tragedia è stata sventata per un pelo. In particolare, hanno dato il batticuore il rientro delle 74 tonnellate dello Skylab, che nel 1979 ha prodotto una pioggia di rottami, delle dimensioni anche di 2 metri, dall'Oceano Indiano all'Australia, e ancora più pericoloso il rientro programmato della stazione spaziale russa Mir, il 23 marzo 2001: per un errore in fase di rientro, parte delle sue 136 tonnellate (molto più pesante di Uars) si sono sparse su duemila chilometri quadrati nella parte est dell'Australia, fortunatamente una zona quasi disabitata. L'apprensione è stata tale da spingere il governo russo a sottoscrivere un'assicurazione da 200 milioni di dollari per rispondere di eventuali danni a cose o persone. Già, perché non succede. Ma se succede un incidente a causa di un detrito spaziale, chi paga il conto? In generale, infatti, i satelliti in disuso non sono più coperti da polizze. Tuttavia, esistono convenzioni internazionali sulla responsabilità del danno causato da oggetti spaziali che regolamentano questi sinistri un po' particolari.
Se avete sottoscritto un'assicurazione su un immobile, potete dormire sonni tranquilli: la caduta dei rottami spaziali in genere è compresa nella copertura antincendio, dove si fa esplicito riferimento alla “ caduta di aeromobili, satelliti e meteoriti” o generici oggetti caduti dall'alto.
E in ogni caso, se viene coinvolto un paese straniero, c'è sempre la Convention on International Liability for Damage Caused by Space Objects, che obbilga a ripagare i danni a persone o cose causati da oggetti spaziali . Per chi non volesse farsi trovare impreparato, la prossima volta, può consultare periodicamente il calendario dei prossimi rientri spaziali. Il più atteso? Il suicidio del mitico Hubble Space Telescope, che verrà dismesso nel 2014: lascerà le stelle per gettarsi per sempre tra le onde del mare.
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