(In allegato il Decreto legislativo del 15 febbraio DLGS_15_ 2_ 2010_ n_ 31_ NUCLEARE)
«Credo che l’inizio del percorso che ci ha portato alla nuova offensiva dei nuclearisti sia da rintracciare nella creazione della Sogin fra il 1999 e il 2000». Così cerca di spiegare l’intricatissima vicenda del rilancio del nucleare nel nostro Paese Massimo Scalia, fisico e docente all’Università de La Sapienza di Roma, antinuclearista storico fin dai tempi del Comitato per il controllo delle scelte energetiche negli anni ’70 e per anni parlamentare dei Verdi (fu il primo presidente della commissione di inchiesta sulle ecomafie) e dirigente di Legambiente. «Non si capiva, tanto per intenderci – prosegue Scalia -, per quale ragione l’Enel non avesse messo in piedi per più di un decennio una struttura che si occupasse della dismissione e del trattamento e smaltimento del nucleare italiano. La nascita della Sogin, all’inizio, aveva una sua logica. Poi le cose sono andate in modo diverso». In modo diverso? «Certo, se pensi che si sono andati a infilarsi anche nella dismissione di sommergibili e simili in ex Unione sovietica – prosegue Scalia – senza, contemporaneamente, risolvere la questione dei siti provvisori italiani è evidente che la “mission” della Sogin quantomeno con il tempo è mutata».
Quindi, per capire di cosa stiamo parlando, per districarci dalle matasse di intrecci e azioni degli ultimi dieci anni è necessario partire dalla società che sembra essere la vera protagonista di questa vicenda.
Cos’è la Sogin?
La Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari Spa) è stata istituita nel quadro del riassetto del sistema elettrico in ottemperanza al decreto legislativo n. 79 del 1999 (che ha disposto la trasformazione dell’Enel in una holding formata da diverse società indipendenti, tra cui appunto la Sogin, che ha ereditato tutte le attività nucleari dell’Enel). Lo stesso decreto assegnava: le azioni della società al ministero del Tesoro (ora ministero dell’Economia e delle Finanze) con lo specifico compito di fornire gli indirizzi operativi al Ministro dell’Industria (ora ministro delle Attività produttive). Come società del Gruppo Enel, quindi, la Sogin ha incorporato le strutture e le competenze precedentemente applicate alla progettazione, alla costruzione e all’esercizio delle quattro centrali elettronucleari italiane. E alla loro dismissione e al trattamento delle scorie. Quindi, nonostante la società risulti “autonoma, di fatto si tratta dell’Enel. Punto.
La SOGIN ha un’articolazione territoriale che comprende:
- la sede centrale di Roma
- le centrali nucleari in fase di smantellamento ex-Enel
- Trino (Vercelli)
- Caorso (Piacenza)
- Latina
- Garigliano (Caserta)
- gli impianti del ciclo del combustibile in fase di smantellamento ex-Enea
- Impianto EUREX Saluggia (Vercelli)
- Impianto FN Bosco Marengo (Alessandria)
- Impianto OPEC Casaccia (Roma)
- Impianto Plutonio Casaccia (Roma)
- Impianto ITREC Trisaia, Rotondella (Matera)
Le risorse finanziarie impiegate da SOGIN per l’attuazione dei programmi di messa in sicurezza e smantellamento degli impianti derivano da due diversi contributi:
- il fondo trasferito a Sogin dall’Enel all’atto del conferimento delle attività nucleari
- il finanziamento pubblico accordato dal governo sulla base delle determinazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas a valere sulla componente A2 della tariffa elettrica (oneri nucleari)
Un aspetto importante che regola la gestione Sogin è che sia il fondo trasferito dall’Enel sia le risorse derivanti dal finanziamento pubblico hanno per oggetto esclusivo la copertura dei costi di smantellamento degli impianti e di sistemazione del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, e non possono essere utilizzati per scopi diversi.
Dalla sua entrata in servizio al 2006 la Sogin è stata diretta dall’ex generale Carlo Jean.
Qualche problema la Sogin li ha avuti fin dai suoi primi anni di esercizio. I costi degli stipendi e delle collaborazioni infatti erano cresciuti enormemente. E i costi amministrativi sembravano quasi superare quelli tecnici e attuativi, che in gran parte sarebbero stati assegnati esternamente. Un brutto vizio italiano, a quanto sembra, a cui neppure quella costola dell’Enel che doveva chiudere la decennale questione del nucleare italiano non solo non affrontò direttamente e definitivamente la questione, ma anzi divenne in poco tempo un oggetto burocratico con un enorme bilancio che veniva assorbita per una grande fetta dai costi della “struttura”. Senza che la “struttura”, alla fine, entrasse mai veramente in funzione a pieno regime.
Ma è proprio la creazione di questo “oggetto”, la Sogin, che rilancia prima sotto traccia e poi sempre con più chiarezza la questione nucleare italiana. E il nucleare, come lo fu nella sua stagione aurea fra il 1960 e la prima metà degli anni ’80, è sempre stato un tema trasversale che ha avuto molti sostenitori in tutti gli schieramenti politici.
Ma torniamo alle attività della Sogin in questo decennio di attività. Il progetto di punta della società si chiama “Global Partnership” e prevede lo smantellamento di una serie di sottomarini a propulsione atomica ormai obsoleti, parcheggiati nei porti dove attracca la flotta russa. “Global Partnership” vede luce come contratto nel giugno del 2002, dopo che i Paesi del G8 – al summit di Kananaskis – decisero di investire 20 miliardi di dollari Usa nel giro di dieci anni proprio per affrontare il gravissimo problema della dismissione di queste strutture ormai abbandonate e senza controllo. E la Sogin, come risulta chiaramente dai resoconti della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti nel luglio 2003, ottiene la commessa, ma non da sola ovviamente, portandosi appresso Fincantieri, Ansaldo, Duferco e Camozzi.
La Sogin e le aziende italiane contano – come ha spiegato all’epoca alla Commissione lo stesso Carlo Jean – di realizzare in Russia anche un impianto chiamato “Accelerator Driven System (Ads)”, ideato dal Nobel Carlo Rubbia ma mai sperimentato: questa macchina dovrebbe bruciare parte delle scorie nucleari russe, riducendone la pericolosità. Se questo impianto dovesse svilupparsi e rivelarsi efficace, secondo il generale potrebbe accogliere anche le scorie italiane che, ha detto ancora Jean, non possono essere stoccate in casa dati i “seri problemi” causati dalla “emotività esistente a riguardo”.
L’ Ansa in data 19/02/04 ha riportato la notizia che per smantellare entro il 2015 i cinque impianti del ciclo del combustibile nucleare presenti in Italia – i due della Casaccia, nei pressi di Roma, e quello di Rotondella (Matera), Saluggia (Vercelli) e Bosco Marengo (Alessandria) spenderà 862 milioni di euro. La domanda, ancor prima di capire quale sarà il futuro delle nuove ipotetiche centrali nucleari, è ovviamente: a che punto è il lavoro di smantellamento dei cinque impianti? E poi, di conseguenza: l’importo indicato di 862 milioni di euro è stato ritoccato e di quanto?
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