Fonti: New York Times – Repubblica del 21 giugno 2010 – LaRepubblica.it del 24 giugno 2010
The Cove, che letteralmente significa “L’insenatura”, è un documentario sulla caccia ai delfini in Giappone che è stato anche premiato da un Oscar ma che ha suscitato aspre polemiche proprio in Giappone.
I distributori del film, non hanno trovato nessuno disposto a metterlo in cartellone nei cinema perché molte sono state le telefonate intimidatorie e le minacce che hanno terrorizzato i gestori dei cinema.
Il documentario tratta non solo della caccia ai delfini e delle sue atrocità, ma mette in guardia dalle alte concentrazioni di mercurio presenti nel pesce in genere, notizia che in un Paese come il Giappone risulta molto preoccupante visto che il pesce è alla base dell’alimentazione.
Evidentemente questo di “The Cove” è un esempio di come il dibattito pubblico su temi delicati possa essere facilmente imbavagliato da piccole minoranze formate, in questo caso, da esponenti dell’estrema destra giapponese che sostengono: “Se si è orgogliosi del proprio Paese, non si può proiettare questo film” . Queste sono state le parole di Nishimura durante una conferenza.
The Cove mostra scene di caccia ai delfini girate per lo più di nascosto nel villaggio di Taiji, nel sud ovest di Tokyo dove, la squadra guidata da Ric O’Barry, ha assistito a scene molto violente di caccia a questi mammiferi marini in una insenatura isolata dove i pescatori ammassano i delfini, ne scelgono alcuni da catturare vivi e arpionano tutti gli altri a morte in una scena simile alla “mattanza”.
Tutto questo in nome del lucroso traffico dei delfini vivi per gli acquari e al business che soddisfa la domanda locale di carne di delfino.
Se la pesca alle balene è stata ufficialmente messa fuori legge (anche se questa legge viene violata molto spesso come leggerete in seguito) questa proibizione non si estende ai mammiferi marini più piccoli come i delfini e proprio in Giappone si uccidono circa 13.000 delfini l’anno stando ai dati dell’Agenzia della Pesca e di questi, circa 1.750 proprio nell’isola di Taiji.
Gli attivisti stanno cercando di esortare i cinema a resistere alle minacce e a mettere in cartellone il documentario girato dal regista statunitense Louie Psihoyos, alcuni canali internet solidali stanno programmando delle proiezioni streaming del film ma sono tanti i cinema che hanno effettivamente cancellato dalla programmazione The Cove cedendo alle minacce e alle intimidazioni.
In più, come si legge da notizie recenti, il Giappone sta anche conducendo una “battaglia” per continuare a cacciare liberamente altri cetacei, le balene.
Sostengono infatti che l’usanza di nutrirsi della carne di questi cetacei sia “ nei loro geni, un pezzo della nostra cultura“. Così sostiene da anni l’ultraottantenne Shigehiko Azumi, ex sindaco di Ayukawa, il porto storico delle baleniere giapponesi. E sono in tanti a pensarla come lui, una netta maggioranza di giapponesi, senza distinzione di età. Anche quelli che non hanno mai assaggiato un sashimi di balena come quello che servono nell’unico hotel per turisti di Ayukawa.
Ma, per uno scherzo beffardo della storia, il Sol Levante si aggrappa disperatamente a un simbolo che non è suo. Sui manuali di storia a Tokyo non v’è traccia di questa impostura e perfino tra i giapponesi più colti solo pochi osano alzare il velo sulla grande menzogna. Ma la verità è questa: la loro manìa per la carne di balena fu imposta dal generale Douglas MacArthur, il vincitore della guerra del Pacifico, comandante capo delle forze di occupazione americane alla fine della seconda guerra mondiale.
La verità la dice Ayako Okubo, ricercatore oceaonografico, che non ha dubbi su quel che agita il subconscio dei suoi connazionali e li rende così refrattari alle pressioni: “Ai giapponesi non piace particolarmente la carne di balena. Ma piace ancora meno sentirsi vietare il consumo dagli stranieri. È uno dei pochi terreni su cui abbiamo la capacità di dire no all’America“.
via http://www.laboratorioantispecista.orghttp://www.youtube.com/user/takepart
.
Nessun commento:
Posta un commento