Nucleare: sì o no?
di Daniela Cipolloni
Al referendum del 12 e 13 giugno la popolazione è chiamata a pronunciarsi sul futuro delle centrali atomiche in Italia. Sì per dire addio a nuovi impianti. No per rilanciare l’energia abbandonata dopo il 1987.
SPECIALE REFERENDUM – Le sorti del nucleare in Italia si giocano alle urne. Al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno si vota per fermare la costruzione di nuovi reattori sul territorio nazionale. Oltre ai due quesiti riguardanti la gestione del servizio idrico (di cui abbiamo parlato qui ) e al quarto quesito sul legittimo impedimento, con il quesito numero tre la popolazione è chiamata a esprimere un verdetto sull’energia atomica.
Presentato dall’Italia dei valori (Idv), il terzo quesito si propone sostanzialmente di delegittimare, attraverso il voto popolare, la scelta del governo Berlusconi di tornare al nucleare. Scelta ufficializzata nella strategia energetica nazionale , varata a giugno 2008, e successivamente con il decreto legge approvato dal Parlamento a fine luglio 2009. Proprio contro questi provvedimenti si esprime il terzo quesito del referendum. Il testo, molto lungo e puntiglioso (la versione integrale si può leggere su Wikipedia ), chiede la cancellazione di circa 70 norme che regolamentano l’individuazione dei siti e la realizzazione di nuovi impianti.
Si domanda, quindi, ai cittadini:
«Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria”, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: “d) realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare”; nonché la legge 23 luglio 2009, n. 99, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia […]»
Ci si può chiedere perché sia necessario un altro referendum sul nucleare, 25 anni dopo il voto che di fatto sancì la chiusura delle centrali nel nostro paese. Analogamente, sarebbe lecito chiedersi come sia stato possibile legiferare in senso opposto a quella che fu l’espressione della sovrana volontà popolare. È un punto su cui spesso si fa confusione. Con il referendum del 1987, infatti, non si votò per abbandonare il nucleare. Nessuno dei tre quesiti chiedeva l’abolizione o la chiusura degli impianti. I quesiti, allora, riguardavano 1) l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio; 2) l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari o a carbone; 3) l’abrogazione della possibilità per l’Enel di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari.
Fu un plebiscito: i sì vinsero rispettivamente con l’80, il 79 e il 71 per cento. Il senso del voto era inequivocabile. All’indomani del disastro di Chernoby, la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria al nucleare. Venne, così, decisa una moratoria di cinque anni, successivamente prorogata, e le centrali spensero le luci. Fu una scelta politica quella di rinunciare all’atomo, non legislativa. Dal punto di vista giuridico, quel referendum non aveva, e non ha, la capacità di condizionare l’impegno italiano sul nucleare (tant’è che i reattori non sono mai stati dismessi).
Stavolta, invece, il voto sarà decisivo. Una croce sul SÌ, se si è contrari al nucleare e si vuole abrogare (cioè cancellare) la normativa che prevede la costruzione di nuove centrali. Una croce sul NO se si è favorevoli alla costruzione di nuove centrali.
SÌ, quindi, per dire addio all’atomo. NO per dirgli bentornato.
Nel caso in cui il referendum raggiunga il quorum e vincano i SÌ, il capitolo nucleare sarà chiuso. Altrimenti, la partita si riapre. In tal caso, però, tutto sarebbe rimandato di un anno. Dopo l’incidente di Fukushima, il governo ha stabilito una moratoria . Per un anno sono sospese le disposizioni relative all’individuazione e costruzione di impianti nucleari e l’adozione della “Strategia in materia nucleare”, quel documento programmatico con cui si avvia l’iter per i nuovi reattori e che, appunto, si vorrebbe abrogare alle urne. Non risentono della moratoria le procedure per la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, ad oggi ancora introvabile.
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