Insediamenti templari nella Murgia una relazione a Gravina
di Vito Ricci
Relazione tenuta al convegno Ordine del Tempio, Cavalieri, Uomini e Martiri, Gravina in Puglia, 9 giugno 2007
La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell’espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l’imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer.
Nelle zone interne della Puglia sorgevano grandi casali e masserie appartenenti al Tempio con notevoli estensioni terriere che prendevano il nome di grancie o grangie. Spesso le terre venivano affidate a dei concessionari (conductores) che provvedevano a lavorarla dietro il pagamento di un canone d’affitto, mentre nelle comunità più numerose erano gli stessi cavalieri a dedicarsi all’attività agricola. Le colture più diffuse erano il frumento (soprattutto in Capitanata) e l’olivo (nella terra di Bari particolarmente rinomati erano le olive e l’olio della mansione di Molfetta come risulta da alcuni atti dell’epoca), non mancavano la vite, diffusa un po’ ovunque nella regione, e i legumi. Accanto alla coltivazione della terra era diffuso anche l’allevamento del bestiame: da carne, da latte e da lana. La Murgia offriva ricchi pascoli alle cospicue mandrie di buoi e bufali appartenenti al Tempio. La produzione agricola era destinata al consumo interno delle domus pugliesi; le eccedenze venivano vendute e una parte del ricavato era versato nelle casse della Sede Centrale sotto forma di responsiones. Nella seconda parte del XII sec. i cereali e i legumi pugliesi erano inviati agli insediamenti in Siria i quali, perdendo terreno a vantaggio dei Musulmani, divenivano sempre più dipendenti dall’Occidente per quanto riguardava i rifornimenti.
L’espansione dell’Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l’entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all’Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola. La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l’altro, aveva sede a Barletta, il Maestro Provinciale da cui dipendevano prima tutte le case del Regno di Sicilia e poi della sola penisola. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia “precettorie” o “mansioni” a seconda della loro importanza. Anche in Puglia l’espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all’interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell’entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.
I Templari iniziarono ad insediarsi a sud del Garigliano probabilmente senza l’appoggio del re normanno di Sicilia. Infatti Ruggero II, alla stessa stregua di suo padre, non era entusiasta delle crociate che potevano danneggiare i proficui rapporti economici esistenti tra la Sicilia e il mondo arabo. Sicuramente dopo il 1139, anno in cui fu raggiunta la pace tra Ruggero II e papa Innocenzo II i Templari ebbero nel Mezzogiorno un clima più favorevole al loro insediamento.
Sembrerebbe che la più antica testimonianza sulla presenza dei Templari in Puglia (e anche in tutto il Regno di Sicilia) risale al 1137 quando Accardo, signore di Lecce di origine normanna, donò, assieme alla moglie, un ospedale da lui costruito nelle terre di sua proprietà a Spinazzola. Tale documento che faceva parte dell’Archivio della Trinità di Venosa (abbazia benedettina passata nel 1297 ai Giovanniti), purtroppo, è andato distrutto e dobbiamo basarci su alcuni appunti inediti dello studioso del Seicento Giovan Battista Prignano, il quale così scrive: «Accardo che nel 1137 era conte di Lecce e marito di Fenicia, con la quale […] donò alla chiesa dei Cavalieri Templari un hospedale da lui edificato nella sua terra di Spinazzola in Basilicata, nel Borgo di detto Castello, per l’ anima di suo padre, e sua» [1]. Questo è quanto sostenuto da Houben.
Tuttavia dobbiamo esporre alcune considerazioni in merito che fanno sorgere seri dubbi su quanto riportato negli appunti inediti del Prignano. In primo luogo sorgono problemi da un punto di vista della filologia e della diplomatica, scienze che nel Seicento non esistevano ancora. Prignano non avrebbe potuto effettuare un esame filologico e diplomatico del documento che egli asserisce di aver visionato. Prignano riporta solo degli appunti e non la riproduzione integrale del documento, né tanto meno ne stende un regesto con indicazioni diplomatiche utili. Altra questione: in nessun altro documento sono attestate delle proprietà di Accardo nella città di Spinazzola. Ciò induce a far sorgere ulteriori dubbi, diversamente sarebbe stato se ci fossero state altre citazioni di proprietà del signore normanno di Lecce a Spinazzola. Ultima questione: nei medesimi appunti inediti, in passaggi diversi, la moglie di Accardo in un punto ha nome Fenitia, in un altro Gunnora. È una palese contraddizione. Sebbene queste considerazioni svolte non possano farci ritenere con certezza falso il documento, volendo usare un rigore storico scientifico è opportuno prendere con estrema cautela il contenuto degli appunti di Prignano. Anche il non prenderli affatto in considerazione, tuttavia, sarebbe un errore.
Spinazzola. In questo paese si ebbe la prima donazione a favore dei Templari del regno di Sicilia: nel 1137, Accardo, signore normanno di Lecce, donava al Tempio un ospedale da lui edificato nelle sue proprietà a Spinazzola. Quindi è da ritenersi errata l’ipotesi di Carrabba secondo il quale l’ospedale fu fondato dai Giovanniti e poi fu occupato dai Templari [2]. L’ospedale è ancora visibile all’angolo tra via La Torre e via Vignola.
Secondo Carrabba i Templari ebbero un’importante precettoria a Spinazzola, in virtù della prossimità di tale centro a vie di comunicazione e della disponibilità di terre molto fertili in zona. La precettoria era assai ricca di proprietà fondiarie (tra cui delle masserie) ed estendeva la sua giurisdizione anche sui beni posseduti nei territori di Gravina e Minervino Murge.
A Spinazzola i Templari ebbero anche la chiesa di San Benedetto "de nuce", ubicata in località san Cesario, la chiesa di San Giovanni al castello ed altri beni vicini alle terre appartenenti alle monache di Gravina [3]. Secondo Carrabba la “curtem templi” di cui si parla in documenti del 1197 e del 1273 non sarebbe nel territorio di Gravina, bensì nelle vicinanze del centro abitato di Spinazzola in contrada “Farano” [4].
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