420 mila operai cinesi imprigionati nella più grande catena di montaggio del pianeta. Si chiama Shenzhen, la città del sud della Cina dove ha sede la Foxconn Technology Group, l'azienda Taiwanese che fornisce componenti per la "Apple", la "Dell", "Hewlett-Packard" la "Sony" e "Nokia". Si tratta di una megafabbrica salita sulle cronache mediatiche di tutto il mondo a seguito di una lunga catena di suicidi di giovani operai. Gli oggetti di produzione e assemblaggio sono attualmente in cima ai desideri del mercato occidentale: iPhone, iPad, computer Hp, Sony e telefoni Nokia ecc ecc.
La via del suicidio è diventata così un mezzo di liberazione oltre che un mezzo di sostentamento delle famiglie degli operai visto che fino a poco tempo fa era attiva un'assicurazione sulla vita. Si!, sembra risuonare in questo contesto moderno l'eco della famosa scritta posta all'ingresso del più famoso campo di concentramento della seconda guerra mondiale: "Il lavoro rende liberi".
"Prometto di non fare del male a me stesso o agli altri in maniera irreparabile" è la formula usata dall'azienda taiwanese per correre ai ripari e per chiedere ai suoi dipendenti l'impegno a non suicidarsi. I vertici del colosso informatico hanno chiesto scusa per i suicidi, negando che le morti siano legate alle condizioni di vita e di lavoro dei suoi dipendenti. Stando alle testimonianze dei lavoratori, raccolte da vari quotidiani cinesi e stranieri, più che una fabbrica sembrerebbe una prigione. Orari di lavoro disumani, con paghe da 100 dollari al mese (dopo il tragico fenomeno, sembra saranno aumentate a ottobre prossimo a circa 167 dollari), brevi pause per mangiare, riposo nei dormitori, rigidi controlli, una ricompensa per i delatori (30 dollari a chi 'denuncia' un collega, che si sospetta essere pronto al suicidio);
L'azienda ha inoltre chiesto ai dipendenti di firmare una lettera per acconsentire di esser mandati in istituzioni psichiatriche se appaiono in "uno stato mentale o fisico anormale". Come vogliamo chiamare quello che succede oggi a Shenzhen? Così descritto appare come un grande girone dell'inferno dantesco rivisitato in chiave capitalistica secondo i dettami della moderna "rivoluzione industriale". Ma è drammaticamente vero che le nostre case sono piene di prodotti o parti tecnologiche fabbricate o assemblate in quei luoghi della Cina. Questi oggetti di consumo diventano simbolo e testimonianza, viva e sanguinolenta, di un nuovo modello di oppressione e soppressione di vite umane.
E sembra quasi ci sia un collegamento tra quei giovani operai che si suicidano o rischiano la vita imprigionati in una megafabbrica di computer e mezzi di divertimenti virtuale e i tanti adolescenti che, usando quei prodotti per divertirsi, ne diventano prigionieri a sua volta fino a rifiutare ogni contatto con il mondo come nel famoso film "Hikikomori".
13 giugno 2010
Dati tratti da: Unità Corriere della Sera, Puntoinformatico.it
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