Una botta di vita per il Sole
Il flare del 15 febbraio visto dal satellite GOES nei Raggi X. E' la macchia brillante poco sotto il centro della stella (Cortesia: LMSAL)
Un flare di classe X2.2 appena prodotto. Le conseguenze sulla Terra fra due o tre giorni
di Mario Gatti
A chi si diverte a tenere d’occhio costantemente quello che succede sul Sole non poteva sfuggire il fatto che vari ingredienti stavano per essere messi assieme e che la torta prima o poi sarebbe stata sfornata. Anche se probabilmente (forse per scaramanzia) nessuno ci credeva o se l’aspettava, la cosa era nell’aria da qualche giorno. Metti tutto insieme: presenza di un grosso gruppo di macchie solari a latitudine relativamente bassa (meno di 20 gradi nell’emisfero Sud) in transito nei pressi del meridiano centrale, diversi burst radio di tipo II (improvvise emissioni di onde radio con frequenza variabile), picchi relativamente intensi di emissione radio alla frequenza di 2800 GigaHertz (il cosiddetto flusso radio a 10,7 centimetri) di cui si erano perse le tracce dal 2005. Frulla il tutto. Aggiungi qualche impulso improvviso nell’aumento dell’intensità del campo magnetico della Terra (o geomagnetic sudden impulse, se preferisci l’inglese), diversi flare nei raggi X di bassa potenza, un paio in quella media. Ed ecco pronto e servito il piatto forte: un bel flare di classe X2.2, il primo di questo schizofrenico ciclo 24. Prodotto alle ore 01h56 UTC del 15 febbraio, quando molti di noi (almeno io di sicuro) stavano dormendo come ghiri. E nessuno s’è accorto di nulla.
I flare sono fenomeni transitori, di durata variabile a seconda del range di frequenze che emettono e nelle quali possono venire osservati: si va da qualche minuto (in media una quindicina) per i raggi X e l’ultravioletto estremo fino a poco più di un’ora nel visibile, dove la frequenza “regina” nella quale si osservano è quella cosiddetta H-alfa dell’idrogeno a 656,3 nanometri. Nell’emissione X sono un po’ come delle bombe a orologeria: fanno scorta di energia e poi la emettono in quantità impressionanti tutta assieme o quasi, nella cosiddetta fase impulsiva. Da anni i fisici solari si spaccano il cervello per capire perché queste cose avvengano, ma una vera risposta ancora non c’è. Ci sono però diversi modelli. Il più accreditato è quello della riconnessione magnetica, una sorta di “scontro” fra campi magnetici di opposte polarità che nascono nei pressi della regione dove ha avuto origine il flare e che rilasciano, sotto forma di radiazione elettromagnetica e fasci di particelle molto veloci (talvolta quasi al limite della velocità della luce), l’energia prodotta nella loro interazione.
Nei raggi X, relativamente alla potenza emessa, i flare vengono suddivisi in classi: si va da quelli meno energetici delle classi A e B (i primi costituiscono di fatto un fondo continuo e se ne registrano anche centinaia al giorno, i secondi possono essere in numero di qualche decina al giorno), e poi più su quelli di classe C (anche qualcuno al giorno) e di classe M (più rari, frequenti solo nelle vicinanze di un massimo di attività), per finire con quelli di classe X (non molti nell’arco di un ciclo solare e di solito più frequenti dopo il massimo, nella discesa verso il minimo successivo). Alla lettera della classe viene fatto seguire un coefficiente numerico relativo all’ordine di grandezza della potenza emessa. Nel nostro caso, X2.2 vuol dire 2.2 per 10-4 Watt per metro quadrato. Sembra poco, ma puoi immaginare quanti metri quadrati di superficie sono interessati dall’evento (stiamo parlando del Sole, non di un campo da bocce) per renderti conto dell’immensità dei numeri in gioco.
E adesso finalmente ci siamo. E’ arrivato il primo flare X del ciclo 24 dell’attività solare, che ufficialmente è iniziato tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 ma che finora ha lanciato un messaggio molto chiaro: non ho alcuna voglia di lavorare. Si tratta infatti di un ciclo anomalo, di sicuro molto poco intenso e poco rispettoso dei “tempi del Sole”. O almeno di quelli che noi crediamo che siano.
Comunque sia, visto che finalmente qualcosa di rilevante è accaduto, vale la pena di dargli un’occhiata. I flare sono osservati da terra o dallo spazio. Nel primo caso con telescopi in H-alfa o radiotelescopi, nel secondo caso da strumenti posti a bordo di sonde orbitanti (SOHO, SDO, TRACE) o satelliti (ACE, GOES, POES). Visti dallo spazio sono ovviamente più spettacolari.
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