Arriva un terremoto? Un segnale ti avvisa in anticipo
Sull’esempio del Giappone, anche l’Italia sperimenta per la prima volta un prototipo di allerta precoce dei sismi. Perché pochi secondi di vantaggio, prima di una scossa, possono cambiare tutto
di Daniela Cipolloni
Se non possiamo prevederli, i terremoti possiamo almeno batterli sul tempo. È quello che promette l’Early Warning System, un avanzatissimo sistema di allerta preventiva già utilizzato da alcuni anni in Giappone, Messico, Taiwan e recentemente in California. Ora anche l’Italia, uno dei paesi più sismici d’Europa, con un patrimonio artistico e architettonico inestimabile, raccoglie la sfida e prova a giocare d’anticipo. Il progetto, realizzato dalla Regione Campania, con l'Università Federico II di Napoli e il centro Amra di analisi e monitoraggio del rischio ambientale, è già in fase di test.“Una rete di 35 sismografi ad alta tecnologia sono stati dislocati lungo l’Appennino meridionale, tra Benevento e Potenza, in prossimità delle faglie attive che nel 1980 provocarono il terremoto dell’Irpinia”, spiega Aldo Zollo, professore di sismologia all’Università Federico II e responsabile del prototipo di Early Warning, in presentazione mercoledì 23 novembre durante la kermesse partenopea Futuro Remoto 2011: “Entro tre anni potremo passare alla fase operativa”.
Il sistema utilizza sensori sismici ad alta tecnologia che auscultano continuamente i tremori della Terra e riescono a rilevare in tempo reale i primi segnali di un terremoto potenzialmente distruttivo. Ne stimano la localizzazione e la magnitudo e, quindi, trasmettono l’allarme. “Avviene tutto nell’arco di un secondo”, precisa Zollo: “La tempestività nell’acquisizione e processamento dei dati permette di guadagnare una manciata di secondi di vantaggio, prima che onde sismiche di maggiore ampiezza raggiungano un’area urbana o un impianto industriale a qualche decina di chilometri di distanza dall'epicentro del sisma”. Il segreto? “La velocità a cui viaggia l’informazione a cavallo delle onde elettromagnetiche è di gran lunga superiore a quella delle onde sismiche, di pochi chilometri al secondo, che si propagano all’interno della crosta terrestre”, chiarisce l’esperto. Lo scarto tra l’allerta e l’arrivo del terremoto varia da qualche secondo fino a un minuto e mezzo, a seconda della distanza a cui ci si trova . Può sembrare poca roba. Non lo è. Si riescono a fare parecchie cose in così poco tempo.
“Per esempio”, dice Zollo,“si possono disattivare in automatico impianti di distribuzione del gas, rallentare treni per evitare che deraglino, interrompere immediatamente l'accesso a ponti e viadotti pericolosi, fermare gli interventi chirurgici in ospedale, allertare gli aerei in fase di decollo o atterraggio. Si fa in tempo a mettere in sicurezza il personale in fabbrica, in cantieri o in attività pericolose, gli studenti in classe potrebbero proteggersi sotto i banchi dalla caduta di calcinacci o vetri, chi è in casa trarsi in salvo”. In particolare, l’Early Warning è utile per prevenire e ridurre i danni secondari provocati dei terremoti, come gli incendi e macerie. Non può impedire che un edificio crolli, se non è stato costruito secondo criteri antisismici. Ma può evitare che le persone muoiano lì sotto.
E come viene diramato il messaggio? Per il momento, nella sperimentazione campana, il Dipartimento della Protezione Civile è l’unico ente che ha un filo diretto con la rete di allerta sismica e viene tenuto costantemente aggiornato tramite rete Wi-Fi, Gsm e Adsl. Per il futuro, se il sistema da prototipale diventerà operativo e sarà esteso a tutto il territorio, il modello da seguire è naturalmente il Giappone, che vanta l’esperienza maggiore in questo campo. “Dal 2007 in Giappone è attiva l’allerta broadcast”, racconta Zollo: “Permette di raggiungere l’intera popolazione attraverso messaggi istantanei in tv a reti unificate, messaggi radio, sms sul cellulare, avvisi via Internet. Scattano inoltre procedure automatiche che attivano allarmi sonori nelle strade, negli uffici, nelle industrie, e si azionano le valvole per lo spegnimento di apparecchiature, impianti pericolosi e centrali nucleari”. Anche per il devastante sisma dello scorso 11 marzo – grado 9 della scala Richter – il sistema di Early Warning funzionò perfettamente. Gli abitanti di Tohoku, l'area maggiormente colpita, vennero avvisati con un anticipo tra i 10 e i 25 secondi prima dell'arrivo delle onde più devastanti.
E fu data l’allerta tsunami circa mezz’ora prima dell’arrivo dell’onda assassina, principale causa di vittime e danni. “Il tempo non è stato sufficiente a evacuare l’intera popolazione della zona inondata, ma molti abitanti riuscirono a mettersi in salvo proprio grazie all'allerta sismica immediata”, ricorda Zollo. Perché un sistema di Early Warning così avanzato entri in funzione anche in Italia sarà prima necessario mettere in atto una serie di azioni. “Primo, bisogna stabilire la responsabilità giuridica in caso di falso o mancato allarme”, specifica il sismologo (in Giappone spetta alla Japan Metereological Agency). “Secondo, è necessario addestrare la popolazione. Se la comunità non è pronta a reagire, il sistema è del tutto inefficace. I giapponesi hanno seguito un training decennale, prima di adottare il sistema di allerta precoce”.
Il pensiero non può non andare a l’Aquila, alla terribile notte del 6 aprile 2009 quando un terremoto di magnitudo 5.9 della scala Richter provocò 309 morti, distruggendo il capoluogo abruzzese e diversi paesi limitrofi. Sarebbe servita questa tecnologia?“ In quel caso, l’epicentro era vicinissimo alla zona colpita. Pertanto, il tempo di preallerta sarebbe stato minimo, praticamente ridotto a zero”, dice Zollo. “Tuttavia, neanche in casi come questi l’Early Warning si rivelerebbe inutile. C’è un tempo fisiologico che si perde nel cercare di comprendere cosa sta succedendo, se davvero la scossa è forte o meno. L’allerta, anche se contemporanea, potrebbe ridurre l’esitazione. Raramente i danni o i crolli degli edifici sono istantanei, per cui questo piccolo vantaggio temporale potrebbe comunque consentire di mettersi al riparo in una zona più sicura”.
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