Geometria Sacra: Intervista con Robert Lawlor
Ritratto dell’artista. Matita su cartoncino di Phong Bui
di Dorothea Rockburne e Christopher Bamford (da The Broolyn Rail) Christopher Bamford
Dopo un’assenza di molti anni, Robert Lawlor, che iniziò come scultore, e il cui libro Sacred Geometry ha avuto una grande influenza nel risvegliarci verso l’importanza di princìpi, simmetrie e proporzioni geometriche – non solo nell’arte e nell’architettura, ma anche negli studi scientifici e sulla coscienza – è tornato recentemente a New York per pochi giorni. Dorothea Rockburne, pittrice, che ha avuto modo di conoscere Robert attraverso il suo lavoro sulla geometria, nonché di lavorare con lui molto intensamente, ha organizzato un ricevimento per Lawlor, per incontrare alcuni vecchi amici artisti e altre persone. Una di queste era l’Editore Phong Bui. Dorothea e Phong hanno ritenuto che i lettori del Brooklyn Rail sarebbero stati interessati ad ascoltare ciò che Robert avrebbe detto. Avendo conosciuto Robert molti anni fa, sono stato incaricato di intervenire per agevolare la conversazione. Così, una domenica, Phong è venuto a Manhattan e ha portato me, Dorothea e Robert al quartier generale del Rail per fare una chiacchierata.
Chris Bamford - Robert, sei stato lontano dall’America per molti anni, così desideriamo darti il bentornato. Hai iniziato come artista qui, a New York. Le circostanze della tua vita ti hanno poi condotto da un mondo ad un altro, il mondo delle idee e della ricerca spirituale. Sei stato in India. Ti sei innamorato di quei posti, esplorandoli dentro e fuori. Infine, dopo molte avventure, hai trovato la tua strada a Pondicherry, nell’Ashram di Sri Aurobindo, dove, per uno scherzo del destino, ti sei imbattuto nelle opere dell’egittologo ermetico R.A. Schwaller de Lubicz. Questi lavori ti hanno rivelato la profonda conoscenza geometrica e metafisica – la saggezza del tempio – dell’antico Egitto. Sei poi ritornato negli Stati Uniti, lavorando infaticabilmente insieme a tua moglie Deborah per trasmettere questa saggezza. Hai anche imparato il francese da zero, e tradotto molti dei libri di Schwaller, compreso il suo imponente capolavoro, The Temple of Man. Fatto ciò, sei andato in Australia. Hai esplorato il mondo indigeno e la cosmologia degli Aborigeni, scrivendo Voices of the First Day(2). La mia prima domanda è: come riesci a mettere insieme tutti questi elementi?
Robert Lawlor – Stamattina, dopo che abbiamo parlato, stavo giusto pensando a questo. Mi è tornato alla mente quando sedevo in una capanna d’erba nel deserto dell’India meridionale, come appartenente ad una comunità internazionale che era una delle maggiori conquiste effettive dell’idealismo sociale degli anni ’60. Si chiamava Auroville, e il progetto era quello di costruire una città internazionale in cui la gente potesse divorziare dalla sua identità nazionale, per diventare parte di un gruppo totalmente focalizzato su base planetaria. Era condotto da due figure spirituali: Sri Aurobindo, spentosi nel 1950, e la sua controparte, nota come “la Madre”. Si trattava di un luogo altamente idealistico. A quel tempo mi trovavo in India da circa sei anni, qualcuno un giorno mi aveva detto: “se rimani molto altro tempo in India, l’India ti assorbirà oppure ti distruggerà”, e non sapevo se fossi pronto per l’una o l’altra di queste opzioni. In quel periodo ero destinato a conoscere qualcuno che era stato amico con Schwaller de Lubicz, e attraverso questo contatto divenni consapevole delle sue opere. Allora esistevano solo cinquanta copie al mondo del suo lavoro principale, ma una si trovava nella libreria dell’Ashram di Sri Aurobindo, ed ero in grado di farla uscire. Nello stesso tempo, stavo cercando di conoscere una discepola francese di Sri Aurobindo, ed è capitato che lei possedesse una delle sole 49 copie rimanenti. Mi prestò quella copia, ed eccomi seduto in questa comunità futuristica d’avanguardia, completamente assorto nella traduzione del libro. Per riuscire a leggerlo, Deborah ed io facevamo spesso sette miglia al giorno per prendere lezioni di francese, cosicché potevamo sederci lì di notte a lume di candela per tradurre quest’opera. Questa enorme fertilizzazione incrociata di tradizioni (come quelle egiziana e indiana) ha dato una sorta di nuova forma e significato alle nostre vite. Constatai: no, non posso vivere di soli ideali, devo coinvolgere me stesso nelle idee.
Dorothea Rockburne – Si tratta di una vera e propria dichiarazione.
Robert Lawlor – Si, è stata una grande constatazione. Fino ad allora non mi ero reso conto di essere per natura una persona altamente idealistica, qualcuno che aveva gettato tutte le sue energie in un recinto mentale che si sarebbe definito un tunnel idealistico. Ma ero lì, leggevo l’opera di Schwaller – mi aveva reso consapevole della differenza tra idee e ideali. Entrambe queste parole, a proposito, derivano da una divinità femminile, Dia.
Bamford – Gli ideali solitamente derivano dalle idee, ma fin troppo spesso coloro che cercano di mettere in pratica gli ideali hanno dimenticato le idee.
Lawlor – E questo, nel mondo, diventa un grosso problema, perché da qui deriva l’evoluzione delle ideologie, che governano i gruppi religiosi o socio-politici. Ecco una delle ragioni per cui è davvero importante tenere i due termini – idee e ideali – in contatto, in modo da sapere quali siano realmente le idee di fondo.
Bamford – C’è poi il problema del fare, dell’agire. In precedenza, a New York, facevi lo scultore, che è per l’appunto un ‘fare’. Quindi hai seguito degli ideali, che ti hanno condotto a scoprire le idee. Quando hai fatto così, esisteva ancora una necessità di connettere le idee al lavoro, al fare?
Lawlor – Bé, in India ciò che ho trovato particolarmente attraente era fare architettura per villaggi, ossia come si potevano tagliare foglie di palma e germogli di bambù con fondamenta di fango per realizzare costruzioni. Pensavo che fosse davvero bello e degno di nota che ogni uomo dovesse pensare a costruirsi la sua propria casa. Dietro ciò risiede un’intera piattaforma di valori indigeni. Così iniziai a realizzare costruzioni con foglie di palma e bambù. Sarei andato a vivere in una di queste, e poi molte altre persone sarebbero venute da altre parti del mondo, e ne avrei costruite altre. Dovevo imparare a stabilizzare la terra, e a stabilizzare le foglie, perché c’erano termiti. Nel momento in cui si iniziava a costruire, si sentiva sgranocchiare. Le case avrebbero ceduto e le persone sarebbero sempre state costrette a ricostruirle. Elaborai un modo di usare il bitume per rendere stabili i mattoni di paglia e fango. Per quel che ne so, funziona, giacché ho visto la foto di un muro che avevo realizzato. Era ancora intatto venti anni dopo la sua costruzione. L’intera faccenda era un vero e proprio esperimento, comprai tonnellate di bitume, e molti uomini del villaggio si sono messi a lavorare insieme a me, ricoprendosi di catrame nero. Per rendere stabili le foglie ho escogitato un modo di metterle a bagno. Ero letteralmente affamato di colori, così immersi le foglie in vernici di vari colori, diluendole con cherosene e usando pigmenti locali. Alcune persone pensavano fosse davvero disgustoso! Ma alla fine ricoprii la zona con un certo numero di queste costruzioni. Imparai a bagnare il bambù per realizzare strutture curvilinee.
Bamford – Tutto questo è interessante, perché il libro di Schwaller de Lubicz che hai scoperto trattava non solo di Egitto e geometria, ma anche di architettura, e, in un certo senso, costruire queste piccole dimore ha a che vedere con spazio, architettura e struttura.
Lawlor – Ma, sfortunatamente, non sono esperto di proporzioni(3).
Bamford – La proporzione è inerente alla creazione di spazio.
Rockburne – Robert, l’altra sera hai parlato di come hai iniziato a scrivere il libro Sacred Geometry, partendo da un’esperienza avuta nella libreria di Pondicherry. Hai menzionato André Vandenbroeck, che ti ha presentato Schwaller.
Lawlor – André mi fece conoscere Schwaller verso la fine della vita di quest’ultimo. In seguito André andò a Pondicherry, dove lo incontrai. Iniziò ad insegnarmi geometria sacra. André desiderava scrivere un libro(4) su questo argomento. Rimasi in India per quattro anni, poi partii e tornai negli States nel 1972. Mi incontrai di nuovo con André, e continuai a studiare geometria con lui. Questo mi intrigava parecchio. Si trattava della materia di base. Così, abbandonai gli ideali per iniziare ad inseguire le idee.
Bamford – È interessante notare che anche André era stato un pittore.
Lawlor – Così conobbe Schwaller.
Bamford – Schwaller aveva studiato con Matisse, così questo legame tra arte, numero e geometria è molto stretto. Schwaller si interessava anche di alchimia, l’arte reale, tanto come scienza che come percorso spirituale. Tutto ciò ci riporta ai tempi antichi, in cui arte, scienza e religione erano una cosa sola, un singolo gesto.
Lawlor – L’altra persona che scoprii durante il soggiorno in India fu l’illustre indologo, Alan Daniélou, che era un linguista come André e un artista. Dipingeva, danzava, era un musicista, e un tempo era del tutto assorbito dal mondo artistico parigino. Quando iniziò a tradurre opere indiane, le antiche idee indiane, si fece anche assorbire dai numeri.
Bamford – In questa unità – di scienza, arte e religione – il numero e la geometria erano fondamentali. Costituivano la tecnologia iniziatoria, se vogliamo. Ma molti non riescono ancora a comprendere che cosa rappresentino numero e geometria in questo senso iniziatorio. Così devo chiederti: che cosa si intende, in questo senso, per geometria sacra?
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