A rischio le scorte di mais “made in Usa”
Mentre la produzione di biocarburanti fa il pieno, le ultime stime Usda destano preoccupazione sul fronte alimentare.
Ancora fibrillazioni sul mercato dei cereali. L’ultimo rapporto mensile del dipartimento per l’Agricoltura statunitense (Usda) rilancia l’allarme in un settore già in tensione per la flessione costante delle stime di produzione da inizio 2011. Nel paese che rifornisce il mondo del 60 per cento della produzione mondiale di granturco, il rapporto scorte/consumi di mais si riduce progressivamente, facendo temere che si possa addirittura raggiungere il valore minimo del 4,5 per cento, registrato ai tempi della Grande Depressione.
Le stime Usda sulle scorte finali di cereali sono scese di ben nove punti percentuali rispetto a gennaio, facendo prevedere che nel corso della stagione diminuiranno del 60 per cento, fino a ridursi a 675 milioni di bushel, quantità in grado di soddisfare solo il 5 per cento della domanda annuale. Le conseguenze sui prezzi si fanno sentire: al Chicago board of trade la quotazione del mais è salita del 3,6 per cento, raggiungendo i 698 cent per bushel.
Diversi i fattori principali alla base della crisi del mais: l’aumento della domanda dei paesi emergenti, i mutamenti climatici e la non facile convivenza tra cibo e carburante. Il primo cereale prodotto nel mondo, infatti, è sempre più richiesto dai paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), in cui il crescente benessere va di pari passo con l’aumento del consumo di carne pro capite e quindi anche con la domanda di mangimi. Aumentando la richiesta, aumentano i prezzi. Invece un fattore che incide sul mercato facendo diminuire la produzione è il clima, che sempre più, e in particolare in questa annata segnata da alluvioni e siccità, ha distrutto un’importante quantità di raccolto nei paesi grandi produttori di granoturco. La dipendenza dalle disastri meteorologici è ancora più incisiva nei confronti del mais perché la stragrande maggioranza della produzione mondiale si concentra in poche aree del mondo (soprattutto Usa e Argentina).
L’altro fattore che ha inciso negativamente sul mercato cerealicolo statunitense è legato al boom della produzione di bioetanolo, che continua a crescere molto di più delle previsioni, grazie alla richiesta sempre crescente di biocarburanti (l’Environmental Protection Agency ha dato il via libera ad un aumento dal 10 al 15 per cento della quantità di etanolo nella benzina). Sebbene la produzione di energia alternativa ai combustibili fossili sia un’attività fondamentale per l’emergenza energetica mondiale, in questo caso il business della produzione di bioetanolo da granturco ha delle conseguenze pesanti nei confronti di un’altra questione delicatissima, l’emergenza alimentare. Gli incentivi molto forti che negli Stati Uniti sono riservati alla produzione di energie rinnovabili, infatti, rischiano di contrapporre la produzione di energia pulita alla produzione alimentare. Ma si tratta di due settori troppo importanti e delicati per essere opposti l’uno all’altro.
http://www.nuovaagricoltura.net/index.php/economia/322-a-rischio-le-scorte-di-mais-made-in-usa
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