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WASHINGTON - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è detto soddisfatto dalle assicurazioni di Barack Obama sull' Iran. Perché ampie e profonde. Parlando ieri davanti all' Aipac, la principale organizzazione ebraica negli Usa, il presidente ha staccato più di un assegno. Obama ha ribadito di essere pronto a usare la forza per difendere Israele e «proteggere gli interessi Usa». Il presidente ha poi brandito la minaccia dell' opzione militare per impedire che Teheran arrivi alla Bomba. Ha esaltato la collaborazione militare con Gerusalemme definita «senza precedenti». Ha riconosciuto il diritto di Israele a difendersi da solo «contro ogni minaccia», frase che più di tutte ha rallegrato Netanyahu. Ma Obama non ha perso l' occasione per ribadire che «c' è ancora spazio per la diplomazia», a patto che l' Iran faccia una scelta negoziale vera. Poi, riferendosi alle montagne di commenti sul possibile blitz israeliano, Obama ha deprecato che «si sia parlato troppo di guerra». E questo ha portato un aumento del prezzo del petrolio. Cosa che, ha sottolineato, favorisce il regime. Obama ha infine sintetizzato la sua strategia citando la famosa frase del presidente Roosevelt: «Parla soft ma portati dietro un grosso bastone». Un discorso spesso interrotto da applausi da una platea attenta anche alle virgole e con molti ospiti interessati. Tra questi il presidente della Camera italiana Gianfranco Fini che ha incontrato Obama. Il discorso è dunque andato oltre il valore dell' appuntamento annuale all' Aipac. L' assemblea precede l' incontro (cruciale) di oggi tra Obama e Netanyahu dedicato al dossier Iran. Un colloquio accompagnato dal timore che Israele decida di attaccare comunque e dai rapporti non proprio distesi tra i due leader. Per questo il presidente - come avevano chiesto in questi giorni da Gerusalemme - ha iniziato a indicare delle linee rosse per chiarire a Teheran che il tempo sta scadendo. Ed ecco il doppio riferimento. Prima al diritto di Israele a difendersi in modo autonomo, quindi la minaccia di un' azione militare Usa che scatterebbe, però, solo come soluzione estrema. Non è poco. Sono carte che Netanyahu potrebbe portare a Gerusalemme dicendo: ecco, abbiamo ottenuto quello che volevamo, il raid può attendere. Per gli «ottimisti» - coloro che ritengono che l' attacco non vi sarà - è un modo anche di offrire a Israele delle alternative concrete. Anche perché pensano che Netanyahu abbia forse lanciato un bluff. Per i «pessimisti», invece, lo scenario di guerra è molto vicino. Non è questione «se» ma «quando», di sicuro entro i prossimi 6 mesi. Il pendolo trova Obama nel mezzo. Deve tenere a bada Gerusalemme, impegnarsi con l' amico senza farsi imbrigliare in risposte automatiche, trattare con l' Iran ma non essere preso per debole, impedire che i mullah arrivino all' atomica ed evitare che la vicenda iraniana disturbi la campagna elettorale. Il presidente non può regalare ai repubblicani il voto degli americani pro-Israele ma neppure trovarsi con una guerra che destabilizzi un' economia sofferente. Tante (troppe) uova nello stesso paniere alle quali badare prima che si rompano. Guido Olimpio Twitter @guidoolimpio golimpio@rcs.it RIPRODUZIONE RISERVATA
Olimpio Guido
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