UN TERREMOTO DEVASTERÀ IL SUD ENTRO 30 ANNI MA NON NELLO STRETTO DI MESSINA
Napoli, 18/12/2011 - Non sarà un altro 1908. Potrebbe essere una catastrofe. Entro 30 anni un sisma violento e distruttivo potrebbe sconvolgere il sud dell’Italia ma non sarà colpita l’area dello Stretto di Messina e non sarà quindi un nuovo 1908. Gli studi condotti - infatti - dimostrano che tra un terremoto e l’altro trascorrono millenni, e l’ultima violenta scossa verificatasi nell’area messinese e nel distretto sismico di riferimento è ancora troppo vicina a noi e molto lontana dal prossimo millennio.
Il concetto è che le zone che negli ultimi 100-120 anni hanno subito terremoti devastanti non dovrebbero essere interessate da scosse sismiche di forte intensità per almeno un millennio, mentre le aree che non subiscono forti scosse da parecchi secoli potrebbero doversi preoccupare, in quanto l’accumulo di energia dovrà scaricarsi prima o poi laddove si è nel frattempo accumulata.
Questo in parole semplici è il concetto in base al quale sono state fatte le supposizioni diffuse in concomitanza con l’annuncio dell’Us Geological Survey, che dopo lunghi anni di studi riuscì a “prevedere” il “big-one” della California formulando l’ipotesi che tra il 2028 e il 2038 nel sud dello Stato californiano, si verificherà un terremoto di almeno 6,7 gradi Richter. Ed entro una trentina di anni, tra la Campania e la Calabria potrebbe verificarsi un terremoto distruttivo di notevole intensità senza interessare però il distretto sismico Stretto di Messina.
Lo scorso 16 dicembre veniva ricordata l'eruzione del Vesuvio. Era il 16 dicembre 1631 e sono passati 380 anni dall'eruzione più catastrofica della storia (probabilmente con oltre 10.000 morti, è stata l'eruzione che ha fatto più vittime nel napoletano). Qui di seguito pubblichiamo un resoconto (inedito) dell'epoca, redatto da un nobile napoletano cinquanta giorni dopo, quando il vulcano era ancora in attività.
Questo documento inedito è stato trovato tra le carte di Raffaele Matteucci (direttore dell'osservatorio vesuviano dal 1903 al 1909) mai pubblicate. L'originale è in latino ed è indirizzato al Vescovo, futuro cardinale Francesco Maria Brancaccio, cardinale nel 1633 che donò alla sua morte la biblioteca perosnale di 22000 volumi alla città di Napoli. Questa biblioteca diventò la prima pubblica del Regno di Napoli.
La lettera è stata ritrovata e tradotta dall'esperto Giovanni P. Ricciardi, fisico dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia -Osservatorio Vesuviano.
G.P.Ricciardi è autore del libero: "“Diario del Monte Vesuvio Venti secoli di immagini”, edito da ESA".
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All’Ill.mo e Rev.mo Sig. Pro.ne Col.mo Mons. Card. Francesco Maria Brancaccio
Di tutti gli incendi del monte Vesuvio che tante volta ha reso la Campania disgraziata, nessuno è
stato più funesto di quello del 16 dicembre 1631, compresa quella che ebbe luogo sotto Tito
Vespasiano e di cui Plinio il giovane e Dione Cassio fanno una scrupolosa descrizione. Si ebbero
allora, difatti due città, Ercolano e Pompei, distrutte per il fuoco; questa volta non sono solamente
Torre del Greco e Torre dell'Annunziata, le due città che sorsero dalle ceneri di Ercolano e di
Pompei, ma tutti i borghi e villaggi giacenti intorno al Vesuvio che vediamo incendiati e distrutti,
quali i villaggi di Trocchia, di Massa, di Pollena, di S. Sebastiano, di S. Anastasio, di Palma, di
Bosco, di Resina, di Cremano, questo bruciato per la seconda volta, dei borghi di Somma, di
Ottaiano, di Lauro. In quanto al borgo di Marigliano, al villaggio di Saviano e all'antica città di
Nola, inondati dalle le acque sgorgate di recente dalla montagna, non hanno sofferto molto meno
degli altri.
Il monte Vesuvio alza la sua doppia cima nel mezzo della Campania una volta felice, in riva al
mare. Non lontano dalla cima che guarda Stabia e che si estende verso mezzogiorno, si apre un
baratro immenso da dove solitamente vomita fiamme dalle sue viscere, e per dove si poteva
scendere fino in basso nell'interno della montagna: è al di sotto di questa cima che è nello stesso
tempo un baratro che, il 16 dicembre 1631, montò un'immensa nuvola di fumo nero e caliginoso
che nascose improvvisamente la luce del giorno. Questa novità spaventò tanto più maggiormente in
quanto era stata preceduta durante la notte da due violenti terremoti: uno verso le ore cinque, l'altro
verso la dodicesima. Durante tutta questa giornata, tuttavia, il Vesuvio non ha preso nessuno a
tradimento si accontentò di minacciare senza colpire, ma non senza spaventare: egli lanciava fumo,
liquefaceva i suoi materiali interiori, muggiva orrendamente come nei dolori da parto: temibile
avvertimento dato a tutti gli abitanti affinché placassero la collera di Dio e scongiurassero il flagello
che si stava alzando su di loro.
Durante la giornata il Vesuvio, per il suo fumo ed i suoi ruggiti, fece tremare i Campani; con
l’inizio della notte li fece morire quasi di paura. Questo fumo si trasformò in lapilli e sibilanti
fiamme; inoltre gli strepiti dell’acceso Monte si sentivano come un cupo tuono e ai numerosi boati
si scuoteva il suolo, che frequentemente tremava, a tal punto che i tetti della città di Napoli
sembravano crollare piuttosto che oscillare; tutti gli abitanti lasciavano le case per non essere
schiacciati sotto le macerie. La maggior parte si teneva all'aperto o nelle carrozze. Un grande
numero si rifugiava nei templi; le vie erano piene di persone che correvano gridando; dai templi
pieni di folla riecheggiavano le preghiere; si aspettava il ritorno del giorno, che funestissimo
sopragiunse.
La catastrofe fu annunciata ancora da un temporale misto ad una grande quantità di ceneri: i tetti, le
strade, i vestiti dei passanti erano sporchi di cenere; una spessa nuvola di cenere velava il sole e
faceva un’orribile tenebra; ma verso le ore quattro del giorno il Vesuvio, dalle squarciate cavità
sotterranee, fatta più larga l’antica voragine, sembrò vomitare tutte le sue viscere, a tal punto che, le
città e i borghi enumerati prima, furono seppelliti fino alla cima dei tetti sia dalla cenere e dal
bitume liquefatto, che dalle pietre infuocate; le persone erano oppresse o soffocati dal denso fumo.
Scorreva un alluvione, come si vide, di bituminoso torrente, che sembrava un incendio in un fiume
d’acqua, inghiottendo, bruciando tutto nel suo passaggio, travi, tegole, alberi, greggi e animali
domestici. Si vedevano uomini immersi nel fango; pesci in secco e nuove scogliere sulla spiaggia
costiera del Vesuvio. Si è visto il mare presso Stabia e nel porto piccolo di Napoli ritirarsi, come se
le navi navigassero nel solido, ma poco dopo riversarsi con lo stesso fragore.
Intorno a questo Vesuvio, là dove la Campania stendeva poc'anzi felice fecondità ogni suono, dove
Pomona e Bacco prodigavano i loro doni, il fuoco e l'acqua hanno devastato tutto: i campi hanno
perso il loro manto verde e il fogliame; i confini sono stati spostati o sono spariti sotto uno spesso
strato di cenere; è ormai una terra di nessuno senza divisioni, senza proprietari, appare come il
deserto libico squallido e arenoso.
La montagna, che si riconosceva da lontano per la sua mole e altezza, appare adesso mutilato e
decapitato, infatti negli incendi precedenti aveva divorato solamente le sue viscere, ma questa volta
ha consumato e divorato la sua cima e i suoi vasti fianchi e giornalmente continua a rodere ed a
mangiare se stesso.
Ora che sono trascorsi cinquanta giorni, né ha cessato di esalare fumo, né talvolta ceneri, o ogni
tanto di scuotere la terra.
Orazio Feltri Patrizio Napoletano
Napoli 4 febbraio 1632
http://parcodeinebrodi.blogspot.com/2011/12/un-terremoto-devastera-il-sud-entro-30.html
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